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Il punto sulle commodities 19 dicembre 2016

Il mercato delle materie prime analizzato dall'Ufficio Studi di Teleborsa

Il petrolio chiude la settimana in frazionale rialzo, segnando un incremento dello 0,78% a 51,90 dollari al barile, dopo la corsa delle ultime settimane. Il greggio beneficia ancora dell’accordo raggiunto fra Paesi OPEC ed esterni al cartello per la riduzione del tetto produttivo, ma viene frenato dal progressivo apprezzamento del dollaro, che ha un impatto negativo su tutte le commodities quotate in questa divisa. Negativo il report di Baker Hughes sui pozzi attivi in USA, ha segnalato un aumento nell’ultima settimana.

Prese di profitto sul gas naturale, che ha perso l’8,84% a 3,415 dollari per milione di BTU, dopo alcune settimane di rally, motivate dal clima rigido che ha investito il Nord America ed incrementato i consumi per il riscaldamento. I prezzi sono scesi anche a dispetto del positivo report dell’EIA sugli stoccaggi, scesi molto più del previsto di 147 BCF.

Il grano ha chiuso la settimana in forte rialzo, vantando un guadagno del 2,25% a 409,25 cent per bushel e proseguendo il trend positivo avviato di recente. A sostenere il frumento concorrono ancora ragioni tecniche, anche se sul mercato pesano ancora l’aspettativa di un raccolto record ed un dollaro forte.

Il prezzo dell’oro prosegue il trend al ribasso avviato nelle ultime settimane, cedendo il 2,08% a 1.135,3 dollari, dopo la conferma di un rialzo di un quarto di punto dei tassi d’interesse USA, in una banda dello 0,50-0,75%. La Presidente della Fed, Janet Yellen, ha poi spiegato che l’economia americana è in ottima salute e che per ora la banca si prende una pausa, sino a quanto la politica del Presidente Trump sarà nota e certa. Fra l’altro, l’inflazione dà tempo alla Fed, avendo registrato un piccolo rallentamento a novembre.

Ottava caratterizzata da vendite insistenti sul rame, che ha ceduto il 3,07% a 2,56 dollari, mettendo a segno una delle peggiori performance fra le commodities. A zavorrare il metallo rosso contribuisce l’incertezza sull’economia, alimentata per gli USA dalla scarsa chiarezza sulle mosse del Presidente Trump e per la Cina dai contrastanti dati macroeconomici.
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