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Tagliare le Pensioni d’oro: così volano solo stracci

Incapaci di scalfire il Potere vero, si soddisfa la voglia di vendetta di una Nazione impoverita ed inviperita

In pratica, si usa da una parte la tabella introdotta nel 1995 dalla Riforma Dini, che aveva previsto per la prima volta il sistema di calcolo della pensione su base contributiva, e dall'altra la nuova tabella rideterminata sulla base della riformulazione decisa dalla Riforma Fornero che ha esteso a tutti il calcolo con il sistema contributivo per i periodi lavorativi decorrenti dal 2012, con riferimento al calcolo della pensione per chi andrà in pensione a decorrere dal 2019.

Si usa quindi per determinare il “taglio” un valore differenziale, quello che deriva dalla variazione tra due successivi aggiornamenti del medesimo coefficiente di trasformazione che fu introdotto dalla Riforma Dini (art. 1, commi 6 ed 11) per il calcolo della pensione su base contributiva. I coefficienti di trasformazione, che sono determinati sulla base di quanto previsto dalla legge n. 335 del 1995 (Riforma Dini), andavano stabiliti “sulla base delle rilevazioni demografiche e dell'andamento effettivo del tasso di variazione del PIL di lungo periodo rispetto alle dinamiche dei redditi soggetti a contribuzione previdenziale, rilevati dall'ISTAT, con decreto del Ministero del Lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze. Il coefficiente di trasformazione è rideterminato ogni 10 anni”.

In realtà, più volte il legislatore ordinario è già intervenuto nel corso degli anni con norme ad hoc per aggiornare la Tabella A. Da ultimo, questa è stata rideterminata direttamente dalla Riforma Fornero, prevedendo che la cadenza della revisione dei medesimi coefficienti di trasformazione delle pensioni avvenisse dapprima con triennale fino al 2018, e poi biennale. Ciò è già avvenuto, con decreti direttoriali dei competenti dicasteri del Welfare e dell'Economia.

Non si capisce, in primo luogo, perché chi sia andato in pensione negli anni passati, magari prima della Legge Dini, quando l'attesa di vita era più bassa dell'attuale, debba essere penalizzato per via di una attesa di vita che riguarderà solo i futuri pensionati.

Ma ancora più grave è la irrazionalità che deriva dalla penalizzazione crescente per coloro che sono andati in pensione prima dei 65 anni: succede, infatti, che chi è andato in pensione a 65 anni con il minimo dei periodi contributivi (25 anni) che sono necessari per avere la pensione, non viene penalizzato perché il rapporto tra i coefficienti di trasformazione previsti dalle due tabelle per chi va in pensione a questa età è praticamente nullo. La penalizzazione cresce invece a mano a mano che si abbassa l'età in cui si è andati in pensione, con la conseguenza di penalizzare fortemente ad esempio chi è andato in pensione a 60 anni ma avendo maturato a quella età il requisito di 40 anni di contributi che dava titolo di accedere alla pensione di anzianità a prescindere dalla età anagrafica.

La conseguenza è assurda: con questo sistema viene penalizzato chi è andato in pensione a 60 anni pur avendo versato contributi per 40 anni, e non chi è andato in pensione a 65 anni avendo versato contributi per soli 25 anni. In pratica, 15 anni di versamenti in più sono messi dentro la pattumiera, mentre si sostiene che va penalizzato chi ha versato meno contributi.

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