Si sta riproponendo la questione della difficoltà dei giovani ad accedere alla proprietà della casa: i prezzi sono alti rispetto alle risorse stipendiali che hanno a disposizione, le banche concedono i mutui solo a fronte di garanzie inossidabili e comunque per importi assai limitati.
Ci sono una marea di case vuote, tanti proprietari che non riescono a venderle, e tanti giovani che sono costretti a vivere a casa dei genitori.
Farsi una vita autonoma è un sogno.
Uno
sguardo al passato è sempre illuminante per capire come ci si è comportati di fronte a problemi analoghi.
Dopo la guerra, c'era da ricostruire tutto, fabbriche e case erano andate distrutte.
Per le prime si provvide soprattutto con gli
aiuti internazionali del Piano Marshall, ma
per le case bisognava darsi da fare utilizzando le risorse private interne. Lo Stato non aveva certo soldi per finanziare programmi di spesa pubblica in disavanzo. I debiti contratti con la guerra dovevano essere abbattuti, ed in fretta, mediante una violenta fiammata inflazionistica: di farne di nuovi, non ci si pensava proprio.
La Costituzione, al riguardo, era stata assai chiara: la Repubblica favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione.
Fu varata così la
legge Tupini, dal nome del suo promotore, con cui si mobilitò il risparmio privato indirizzandolo alla costruzione di nuove case, dette di "civile abitazione": dovevano avere dei
requisiti minimi in termini di salubrità ed igiene, che consentivano di ottenere ai proprietari il
certificato di abitabilità e di accedere così ai
benefici fiscali: si trattava dell'esenzione dal pagamento delle imposte sui materiali di costruzione e di quella venticinquennale sul pagamento dell'ILOR, quella che in passato era l'imposta locale sui redditi.
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