Il problema è dunque distributivo:
capire chi, come, quanto e quando dovrà pagare il costo degli investimenti necessari per realizzare fonti energetiche alternative, rinnovabili, per ridurre progressivamente l'uso dei combustibili fossili, fino ad eliminarli del tutto.Il fatto è che sono stati messi nello stesso paniere il
carbone, il petrolio ed il gas metano, anche se hanno effetti enormemente diversi in termini di inquinamento dell'aria e di emissioni di CO2: in Europa si ritiene che basti determinare un coefficiente diverso in termini di quantità di tonnellate di diritti di emissione di CO2 che si è obbligati a comprare a seconda del combustibile utilizzato. Chi produce elettricità da fonti idroelettriche o nucleari paga un'inezia, perché non sono fonti energetiche che rilasciano CO2. Qualche cosa in più devono pagare gli impianti eolici e fotovoltaici. Più penalizzato ancora è chi usa gas, ancora peggio va per chi usa il petrolio, mentre chi produce energia dal carbone ne deve comprare più di tutti.
In teoria, il sistema dovrebbe funzionare:
si penalizza chi "sporca" di più, scoraggiando maggiormente l'uso delle fonti energetiche più inquinanti. Il fatto è che nessuno dei produttori di energia può cambiare l'impianto dall'oggi al domani, e quindi è costretto a subire un eventuale rincaro dei prezzi da parte dei produttori. Se il prezzo internazionale del carbone, del petrolio e del gas va alle stelle, come sta accadendo quest'anno, c'è ben poco da fare: bisogna pagare e basta.
Ecco che
i prezzi delle materie prime energetiche si trasferiscono sui consumatori e che i governi cominciano ad intervenire, o con i Bonus come si sta facendo in Francia per il carburante, oppure accollando allo Stato una parte dei rincari in modo da non far salire troppo la bolletta del gas o dell'energia elettrica. Il problema, quindi, si sposta: perché sia il Bonus del governo francese che gli interventi per decreto legge assunti dal governo italiano usano risorse fiscali: qualcuno, alla fine, paga il rincaro.
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