La conseguenza immediata è stato un
indebolimento dell'euro rispetto al dollaro. La moneta unica europea ha proseguito la sua discesa iniziata ad aprile scorso, quando con 1 euro si compravano ben 1,22 dollari: ora se ne comprano 1,13.
Visto il consistente
rincaro delle materie prime e dei prodotti energetici in particolare, tutti quotati e pagati in dollari, ne deriva un
maggior costo delle importazioni per le economie europee rispetto a quella americana e quindi un maggiore differenziale in termini di "inflazione da costi all'import".Il corrispondente vantaggio di prezzo per le esportazioni europee derivante dall'indebolimento dell'euro rispetto al dollaro deve tener conto della minore inflazione imbarcata dall'economia americana e delle difficoltà degli altri Paesi come la
Cina, che sembra rallentare per un verso e subire una forte ondata di
rincari interni, che ad ottobre è stata senza precedenti:
+10,7% per i prezzi al consumo e +13,5% per quelli alla produzione.
Stante la difficile sostituibilità delle
importazioni cinesi, sia da parte americana che europea, si avrà per quanto ci riguarda una situazione ancora più complessa: sommeremo infatti all'indebolimento dell'euro sul dollaro, moneta con cui paghiamo le importazioni dalla Cina, l'incremento del loro prezzo che deriva dalle dinamiche interne. Gli Usa, al contrario, si avvantaggerebbero almeno sotto il profilo del rafforzamento del dollaro sullo yuan.
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