Facebook Pixel
Milano 17:35
33.939,75 -0,97%
Nasdaq 19:34
17.375,93 -0,86%
Dow Jones 19:34
38.034,71 -1,11%
Londra 17:35
8.078,86 +0,48%
Francoforte 17:35
17.917,28 -0,95%

Corte Assise Caltanissetta su uccisione Borsellino, gravissimo depistaggio di Stato

Uno dei più gravi mai avvenuti nella storia giudiziaria italiana. Motivazione sentenza di 1856 pagine divise in 12 capitoli

Economia, Politica
Corte Assise Caltanissetta su uccisione Borsellino, gravissimo depistaggio di Stato
(Teleborsa) - La strage di Via D'Amelio a Palermo fu condizionata da depistaggio di Stato. Uno dei più gravi mai avvenuti nella storia giudiziaria italiana. E' l'amara conclusione scritta dai giudici della Corte d'Assise di Caltanissetta nella motivazione della sentenza del processo cosiddetto "Borsellino quater" per l'uccisione del Giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti di Polizia componenti la scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Ben 1.856 pagine, raccolte in 12 capitoli, con la minuziosa di ricostruzione del drammatico episodio avvenuto il 19 luglio 1992 firmato dal Presidente della Corte, Antonio Balsamo, e dal giudice a latere Janos Barlotti. Un processo dalle conclusioni sorprendenti anche se tutto sommato non completamente inaspettate.

Un tassello importante di una difficile verità da svelare, ma che in ogni caso indica la necessità di proseguire le indagini e di percorrere una lunga strada che potrebbe condurre al traguardo. Sentenza che indica i diversi misteri irrisolti, a cominciare dall'agenda rossa del Giudice tempestivamente "sottratta" dal luogo della carneficina e le rivelazioni di "falsi pentiti". E la Procura di Caltanissetta chiede intanto il rinvio a giudizio per 3 poliziotti, il dottor Mario Bo, oggi in servizio a Gorizia, e gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

L'ex Questore Arnaldo La Barbera, deceduto a Roma il 12 dicembre 2002, è l'accusato della sparizione dell'Agenda. "Soggetti inseriti negli apparati dello Stato", recita la sentenza, indussero Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage. Un suggerimento ricco di "un insieme di circostanze del tutto corrispondenti al vero" dato a Scarantino da uomini dello Stato."È lecito interrogarsi - scrivono i Giudici della Corte d'Assise - sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento ad alcuni elementi".

Indagini che puntano dritte al cuore dello Stato, come scrive ancora la Corte. Si tratta di alcuni investigatori del gruppo Falcone e Borsellino guidati dall’allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera. Il loro compito era scoprire i responsabili delle due stragi.Si adorarono, invece, a costruire a tavolino alcuni falsi pentiti.

Un elemento su tutti. Il furto della 126 rubata mediante la rottura del bloccasterzo dove poi fu sistemato l'esplosivo per la strage di via D'Amelio è la verità che ha poi raccontato nel 2008 il pentito Gaspare Spatuzza. Come facevano i suggeritori a sapere la storia della 126? "È del tutto logico ritenere — sentenziano ora i giudici — che tali circostanze siano state suggerite a Scarantino da altri soggetti, i quali, a loro volta, le avevano apprese da ulteriori fonti rimaste occulte". Chi ispirò i suggeritori?

Inquietante, per la Corte, anche il ruolo di Bruno Contrada, all'epoca numero tre del SISDE (Servizi segreti civili), poi arrestato per Mafia nel dicembre 1992. Contrada ricevette una richiesta di collaborazione alle indagini dall’allora Procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra definita "irrituale" dai Giudici, in quanto "l'uomo dei Servizi" non rivestiva alcuna carica di polizia giudiziaria. Tinebra, morto dopo lunga malattia a Catania il 6 maggio 2017, era titolare delle inchieste per la strage di Capaci (uccisione di Giovanni Falcone, 23 maggio 1992) e per la strage di via D'Amelia E col SISDE collaborava anche il Questore Arnaldo La Barbera.

Ci furono così investigatori indefeli che pilotarono il falso pentito per finalità tutte da scoprire. Ma ci furono anche magistrati distratti. La Corte d’Assise di Caltanissetta non ne fa i nomi.


Condividi
```