(Teleborsa) -
La Corte di Giustizia europea dà ragione all'Italia sulle maggiori
restrizioni imposte agli intermediari che importano
bioliquidi, affermando che "è conforme" al diritto dell'Unione e rendendo di fatto più
difficile importare in Italia bioliquidi prodotto da biomasse all'estero.
Tutto questo deriva dal fatto che il
regime di incentivazione di una società che utilizza bioliquidi per il proprio impianto termoelettrico è
assoggettato a certe condizioni ed, in particolare, alla presentazione di un
certificato di sostenibilità non solo del fornitore della materia prima, ma anche dell'intermediario che importa la materia prima senza averne l'effettiva disponibilità.
Tutto fa riferimento ad un
contenzioso fra il GSE (Gestore dei Servizi Energetici)
e la società Legatoria Editoriale Giovanni Olivotto (L.E.G.O.), che possiede una stamperia in Italia dotata di impianto termoelettrico alimentato con un bioliquido (olio di palma). La società in questione ha beneficiato di
incentivi finanziari pubblici per il periodo 2012-2014, che sono stati poi
revocati dalle autorità italiane (GSE) a motivo della mancata presentazione dei certificati di sostenibilità da parte della società intermediaria incaricata dell’acquisto del bioliquido per la L.E.G.O. presso un fornitore terzo, e malgrado il fatto che i certificati in questione fossero già stati presentati dal fornitore estero della materia prima aderente al sistema volontario di controllo ISCC (International Sustainability and
Carbon Certification). Il
Consiglio di Stato, deputato a decidere, ha rimesso la questione alla
Corte europea, chiedendo se la normativa italiana più restrittiva non sia
in contrasto con quella europea. Il supremo organo giurisdizionale ha dato una
risposta negativa, sulla base di una serie di considerazioni che fanno riferimento ad un certo
margine di discrezionalità lasciato ai legislatori degli
Stati membri.
La Corte ricorda, in via preliminare, che la
direttiva 2009/28 ha armonizzato in modo esaustivo i criteri di sostenibilità che devono essere rispettati per i biocarburanti e i bioliquidi, affinché essi possano essere presi in considerazione quale energia rinnovabile. E nello stesso tempo la direttiva impone agli Stati membri di esigere dagli operatori economici che essi utilizzino un
sistema di equilibrio di massa (verifica della sostenibilità).
Tuttavia, questo meccanismo di verifica della sostenibilità
non è stato armonizzato, quindi ciascuno Stato ha un margine di discrezionalità se definire un sistema nazionale proprio oppure rifarsi al sistema
sistema volontario di controllo ISCC (International Sustainability and Carbon Certification).
La Corte conclude che, poiché il sistema ISCC riguarda i biocarburanti e non i bioliquidi,
l’Italia è libera di prevedere un
sistema nazionale di certificazione più restrittivo per dimostrare la sostenibilità dei bioliquidi. Ed anche che
l’Italia era libera di qualificare gli intermediari (ivi compresi quelli che non conseguono la disponibilità fisica dei suddetti prodotti) quali
"operatori economici" allo scopo di garantire, conformemente alle prescrizioni della direttiva, la tracciabilità delle partite di bioliquidi lungo tutta la catena di consegna, permettendo così un miglior controllo della loro produzione e commercializzazione al fine di ridurre il rischio di frodi.
Pertanto, nonostante questa normativa restrittiva produca di fatto una limitazione alle importazioni, tuttavia, la Corte ritiene che tale limitazione della libera circolazione delle merci sia
giustificata da obiettivi di tutela dell’ambiente nonché di lotta contro lefrodi.