(Teleborsa) -
La Brexit traina l'export di food e vino italiani in Gran Bretagna. Secondo l'analisi di Coldiretti sui dati Istat sul commercio estero, a gennaio si è registrato un
vero boom nelle esportazioni alimentari italiani con un balzo del 17,3% negli acquisti di cibo e bevande italiane da parte dei britannici che temono
dazi e ostacoli amministrativi nel caso di no deal.
L'impennata record per l'alimentare tricolore nel Regno Unito raggiunge così la cifra di
243 milioni di euro in un solo mese, con i
l vino che complessivamente fattura sul mercato inglese quasi 827 milioni di euro, e in particolare il Prosecco, a far la parte del leone: le bollicine nostrane segnano un totale di 348 milioni di euro.Al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna c’è – conclude la Coldiretti – l’ortofrutta fresca e trasformata come i derivati del pomodoro con 234 milioni, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi e dell’olio d’oliva
L'ipotesi di un no deal spaventa quindi i consumatori inglese e non solo. In gioco ci sono i
3,4 miliardi di euro di export agroalimentare Made in italy realizzati nel 2018 e senza accordo, fa notare Coldiretti, ci sarà anche un problema per l
a tutela giuridica dei marchi con le esportazioni italiane di prodotti a indicazione geografica e di qualità (Dop/Igp), come in Grana ed il Parmigiano Reggiano, che incidono per circa il 30 per cento sul totale dell’export agroalimentare Made in Italy e che, senza protezione europea, rischiano di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione da paesi extracomunitari.
"La mancanza di un accordo è lo scenario peggiore perché rischia di rallentare il flusso dell'export, ma a preoccupare è anche il pericolo che con l’uscita dall’Unione Europea si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole alle esportazioni agroalimentari italiane", afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. Un esempio è l'etichetta nutrizionale a semaforo sugli alimenti che si sta diffondendo in gran parte dei supermercati inglesi e che – conclude Prandini – boccia ingiustamente quasi l’85% del Made in Italy a denominazione di origine (Dop).