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Ristorazione collettiva, FIPE chiede stato crisi

Economia, Politica
Ristorazione collettiva, FIPE chiede stato crisi
(Teleborsa) - "La ristorazione collettiva, pur essendo tra i settori autorizzati ad operare, è in ginocchio per effetto della pandemia. La chiusura di buona parte delle scuole e l'utilizzo massiccio dello smart working nella pubblica amministrazione e nelle imprese private stanno provocando un dimezzamento dei fatturati delle aziende, con il risultato di mettere a rischio 60mila posti di lavoro. Per questo chiediamo al Governo di dichiarare lo stato di crisi del settore".

Fipe-Confcommercio, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi, lancia l'allarme e invoca l'intervento immediato dell'esecutivo, che, prosegue la federazione, "fino a questo momento sembra essersi dimenticato della ristorazione collettiva. Nessuna misura di sostegno è stata infatti destinata a mense scolastiche e aziendali, nonostante i provvedimenti restrittivi adottati per contenere la diffusione del Covid abbiano costretto le imprese a rivedere i loro modelli di servizio, con ulteriore aggravio di costi".

I fatturati delle società che gestiscono le mense aziendali sono crollati del 40%, mentre quelle di chi svolge il servizio di distribuzione e sporzionamento dei pasti nelle scuole hanno perso oltre il 50% dei loro volumi d'affari. Tutto questo si traduce in 60mila posti di lavoro a rischio, in particolare occupazione femminile.

"Di fronte a queste cifre - prosegue Fipe - abbiamo avanzato delle proposte al Governo in incontri con i sottosegretari al MiSE e al Lavoro, Morani e Di Piazza, sia in audizioni parlamentari sul decreto Ristori, perchè anche queste imprese siano inserite tra i fruitori dei contributi a fondo perduto, vengano inoltre sospesi o ricontrattati i canoni concessori in essere ed infine previste ulteriori misure per il fondo di solidarietà e la cassa integrazione senza restrizioni". "Solo in questo modo - conclude la nota - sarà possibile evitare la morte di gran parte delle aziende del settore con le ripercussioni sulla tenuta dei livelli occupazionali e con le immaginabili conseguenze in termini di costo sociale e di perdita delle professionalità faticosamente costruite".
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