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Smart working, i numeri della crescita: come sarà il futuro del lavoro?

Cosa è cambiato durante la pandemia nel settore pubblico e privato? La fotografia nelle note curate dai ricercatori della Banca d'Italia

Economia
Smart working, i numeri della crescita: come sarà il futuro del lavoro?
(Teleborsa) - "Nella prima parte del 2020 oltre il 14 per cento dei lavoratori del settore privato non agricolo ha svolto la prestazione lavorativa da remoto; un anno prima la percentuale era inferiore all’1,5 per cento." E' quanto rileva la nota "Il lavoro da remoto in Italia durante la pandemia: i lavoratori del settore privato" curata da Domenico Depalo e Federico Giorgi, ricercatori Bankitalia, nella quale viene specificato che "le opinioni espresse sono personali e non riflettono necessariamente la posizione della Banca d’Italia".



L’incremento - si legge - "ha interessato soprattutto le donne, i lavoratori delle imprese di maggiori dimensioni e dei settori le cui mansioni più si prestano a essere svolte a distanza. Rispetto a chi non ha lavorato in smart working, in media i dipendenti che hanno usufruito del lavoro agile hanno conseguito una retribuzione mensile più elevata, per effetto del maggior numero di ore lavorate, e hanno fatto meno ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni".

Rispetto a chi non è in smart working, a parità di condizioni, in media i dipendenti che hanno usufruito del lavoro agile - prosegue lo studio - "hanno lavorato più ore (6 per cento) e hanno fatto meno ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni (CIG); anche la probabilità di cercare un nuovo impiego o quella, percepita, di poter perdere quello attuale entro i 6 mesi successivi sono state significativamente inferiori; i lavoratori in smart working hanno goduto di una retribuzione mensile più elevata per effetto del maggior numero di ore lavorate (6 per cento rispetto ai lavoratori non in smart working)".

E ancora. "Nel 2019 la modalità di lavoro agile era più utilizzata dai lavoratori delle grandi aziende e da quelli nelle posizioni apicali, manager o personale con almeno la laurea, mentre differenze dovute ad altre caratteristiche risultavano poco significative. Nel 2020 le differenze relative a livelli di istruzione e alla dimensione aziendale diventano più marcate; in aggiunta, il lavoro agile diventa più diffuso tra le donne (2 punti percentuali in più degli uomini), nel settore dell’informazione e comunicazione (di quasi 30 punti percentuali rispetto all’industria in senso stretto) e delle attività finanziarie e assicurative (di quasi 20 punti percentuali)".

Un secondo paper a cura dei ricercatori Walter Giuzio e Lucia Rizzica sottolinea che "l'emergenza sanitaria ha portato a un utilizzo massiccio del lavoro a distanza nelle amministrazioni pubbliche italiane, sotto l’impulso dei provvedimenti varati dal Governo per arginare la diffusione del virus". La percentuale di lavoratori pubblici che dichiaravano di aver svolto il proprio lavoro da casa almeno una volta nella settimana di riferimento - si legge - " è passata del 2,4 per cento del 2019 al 33 per cento del secondo trimestre 2020. A usufruire maggiormente del lavoro da remoto sono state le donne e i lavoratori più istruiti. Tra gli enti locali, circa il 95 per cento ha adottato misure di smart working, con differenze significative nel grado di estensione legate in primo luogo alla tipologia di ente e quindi alle funzioni da svolgere e al loro grado di telelavorabilità. A parità di funzioni, ulteriori differenze sono legate alla composizione demografica e alle competenze della forza lavoro dell’ente e, in misura minore, alle dotazioni informatiche disponibili".

All’inizio della crisi sanitaria - si legge nella nota - il Dl "Cura Italia" ha individuato il lavoro agile come modalità ordinaria del lavoro all’interno delle amministrazioni pubbliche. Ha inoltre consentito lo svolgimento della prestazione lavorativa anche con materiale informatico di proprietà del lavoratore e previsto la possibilità di esentare il dipendente dal servizio qualora non fosse possibile lavorare a distanza o ricorrere, in subordine, agli strumenti delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore, della rotazione e di altri analoghi istituti. Ne è conseguito un repentino aumento del ricorso allo smart working rispetto al periodo precedente la pandemia".

Secondo i dati della Rilevazione delle Forze di Lavoro (RFL) relativi al secondo trimestre del 2020, "i mesi in cui le misure adottate per contenere la pandemia sono state più severe, la percentuale di lavoratori pubblici che ha svolto le proprie mansioni da casa almeno una volta nella settimana di riferimento è stata pari al 33 per cento. L’aumento ha riguardato tutte le tipologie di servizi pubblici rilevati nell’indagine: nella PA in senso stretto la percentuale di dipendenti che ha lavorato da casa almeno una volta nella settimana di riferimento è stata del 30 per cento, la quota è stata simile nei servizi sociali non residenziali (ad esempio, gli asili nido e l’assistenza diurna ai disabili, 27 per cento) ed è stata pari a circa il doppio nel settore dell’istruzione (59 per cento). Il ricorso al lavoro da casa è stato decisamente inferiore nella sanità (6 per cento) e nei servizi sociali di tipo residenziale (ad esempio le case di riposo per anziani che non forniscono servizi infermieristici, 6 per cento), nonostante che anche in questi settori vi sia stato un aumento significativo".
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