(Teleborsa) -
In dieci anni sono mancate all’appello quasi 156mila imprese giovanili, con un calo del 22,4%. Il risultato è che a fine 2020 si contavano circa
541 mila imprese giovanili contro le 697mila presenti nel 2011 e, se prima un’impresa su 10 era under 35, ora il
peso dei giovani sul tessuto imprenditoriale è
sceso all’8,9%.
E' quanto emerge dall'indagine
Unioncamere-InfoCamere sulla nati-mortalità delle imprese, secondo cui la perdita di imprese giovanili ha riguardato tutta la nazione: la
Lombardia passa da oltre 95mila imprese giovanili a 74mila (21mila imprese in meno), la
Sicilia da quasi 69mila a circa 53mila (-16mila), la
Puglia da 54mila a 40mila (-14mila). In proporzione al totale delle imprese esistenti, invece, si identifica un cluster territoriale abbastanza definito intorno alle
regioni del centro Italia (nell’ordine Marche, Toscana, Abruzzo, Emilia Romagna e Umbria), in cui la perdita complessiva di imprese giovanili si colloca tra il 28 e il 34% nell’arco del decennio.
Lo
"spopolamento" dell’imprenditoria giovanile dell’ultimo decennio ha colpito maggiormente i settori tradizionali delle
costruzioni (-51,8%), del
commercio (-25,5%) e dell’
industria manifatturiera (-36,8%). Consistenti anche le riduzioni fatte registrare dai comparti delle attività immobiliari (-31,2%) e del trasporto e magazzinaggio (-24,9%). Ad espandersi ( +14%) è stato il solo comparto dei servizi alle imprese.
La crisi pandemica ha certamente contribuito a frenare la voglia di fare impresa dei giovani. Considerando
solo il 2020 si sono perse 18.900 nuove imprese giovanili rispetto al 2019, con una
perdita del 18% più forte del-16,9% delle altre imprese.
Nonostante questa selezione dawiniana, i giovani
imprenditori under 35 si mostrano più resilienti e sembrano
guardare al futuro con maggiore positività rispetto agli altri colleghi. Secondo una ricerca dell'Ufficio Studi Tagliacarne, il 43% degli imprenditori under 35 dice di esser riuscito ad arginare le perdite (il 43%), mentre il 68% si dice fiducioso su un recupero die livelli pre-Covid nel 2022. Una percentuale che sale al 75% fra coloro che hanno investito in industria 4.0, a conferma che il digitale è un potente acceleratore di competitività.