Facebook Pixel
Milano 15:26
34.326,02 -0,11%
Nasdaq 23-apr
17.471,47 0,00%
Dow Jones 23-apr
38.503,69 +0,69%
Londra 15:27
8.073,3 +0,35%
Francoforte 15:26
18.142,04 +0,02%

Covid, Organizzazione Mondiale del Lavoro: "Possibile impatto di lungo periodo su occupazione"

La pandemia ha ridotto in povertà 100 milioni di lavoratori. Necessari almeno due anni per recuperare posti, donne più penalizzate

Economia
Covid, Organizzazione Mondiale del Lavoro: "Possibile impatto di lungo periodo su occupazione"
(Teleborsa) - La pandemia ha generato uno sconvolgimento senza precedenti che, in assenza di politiche coordinate, avra` effetti sul panorama sociale e occupazionale per molti anni. Nel 2020, si stima che sia stato perso l'8,8 per cento delle ore lavorate totali, l'equivalente delle ore lavorate in un anno da 255 milioni di lavoratori a tempo pieno. Circa la meta` delle ore di lavoro perse e` da attribuirsi ad una riduzione delle ore lavorate tra coloro che sono rimasti occupati e puo` essere attribuita a un orario di lavoro piu` breve o con zero ore nell'ambito di piani di riduzione dell'orario di lavoro. La restante meta` delle ore lavorate perse deve essere invece ricondotta a vere e proprie perdite di posti di lavoro. Rispetto al 2019, 114 milioni di lavoratori hanno, infatti, perso il lavoro e sono diventati disoccupati o hanno abbandonato la forza lavoro. Se non ci fosse stata la pandemia, il numero di occupati sarebbe cresciuto di 30 milioni a livello globale nel 2020. Il deficit globale di posti di lavoro generato dalla pandemia e`, dunque, pari a 144 milioni di posti di lavoro nel 2020 e ci vorranno anni, almeno fino al 2023, per recuperare i posti di lavoro persi con il Covid. A lanciare l'allarme è l'Onu in un rapporto dell'Organizzazione Mondiale del Lavoro (Oil).

L'analisi "World Employment and Social Outlook: Trends 2021" ("Prospettive occupazionali e sociali nel mondo. Tendenze 2021") prevede che il deficit di posti di lavoro indotto dalla crisi globale raggiungerà 75 milioni nel 2021, prima di scendere a 23 milioni nel 2022. Il relativo deficit di ore lavorate, che include la diminuzione del numero di posti di lavoro e la riduzione dell'orario di lavoro, – rileva l'analisi – ammonta all'equivalente di 100 milioni di posti di lavoro a tempo pieno nel 2021 e 26 milioni di posti di lavoro a tempo pieno nel 2022. Questo deficit di posti di lavoro e di ore lavorate si innesta in un contesto preesistente di livelli di disoccupazione persistentemente alti, di sottoutilizzo della manodopera e di cattive condizioni di lavoro. Di conseguenza, il numero di disoccupati dovrebbe raggiungere i 205 milioni di persone nel 2022, superando ampiamente il livello di 187 milioni nel 2019. Ciò corrisponde a un tasso di disoccupazione del 5,7 per cento. Se si esclude il periodo corrispondente alla crisi del Covid-19, è dal 2013 che non si registrava un tasso di disoccupazione così alto.

Nel dettaglio le regioni più colpite nella prima metà del 2021 sono state l'America Latina e i Caraibi, e l'Europa e l'Asia centrale. In entrambi i casi, le perdite stimate di ore lavorate hanno superato l'8 per cento nel primo trimestre e il 6 per cento nel secondo trimestre, rispetto alle perdite globali di ore lavorate del 4,8 e del 4,4 per cento rispettivamente nel primo e nel secondo trimestre.

Se non ci sarà un peggioramento della situazione generale della pandemia, l'Oil prevede che la ripresa globale dell'occupazione acceleri nella seconda metà del 2021. Tuttavia – sottolinea l'Organizzazione – questa ripresa sarà disomogenea, a causa dell'accesso diseguale ai vaccini e dei maggiori vincoli sulle misure di stimolo fiscale per la maggior parte delle economie emergenti e in via di sviluppo. Inoltre, è probabile che si deteriori la qualità dei posti di lavoro nuovamente creati in quei paesi.

La perdita di occupazione e di ore lavorate si è tradotta in un forte calo del reddito da lavoro e in un aumento della povertà. Rispetto al 2019, altri 108 milioni di lavoratori in tutto il mondo sono diventati poveri o estremamente poveri, il che significa che loro e i loro familiari vivono con meno di 3,20 dollari al giorno a parità di potere d'acquisto.


"Sono stati cancellati cinque anni di progressi fatti in termini di riduzione della povertà lavorativa il che – si legge nel rapporto – rende l'obiettivo sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite di sradicare la povertà entro il 2030 ancora più difficile da raggiungere".

Dal rapporto emerge anche un ampliamento delle disuguaglianze preesistenti. La pandemia ha, infatti, colpito più duramente i lavoratori vulnerabili. La diffusa mancanza di protezione sociale — per esempio tra i due miliardi di lavoratori del settore informale nel mondo — ha determinato conseguenze catastrofiche sui redditi familiari e sui mezzi di sostentamento.

In particolare la crisi ha colpito le donne. L'occupazione femminile è, infatti, diminuita del 5 per cento nel 2020, rispetto al 3,9 per cento di quella maschile. Una percentuale maggiore di donne è anche uscita dal mercato del lavoro, diventando inattiva. Le responsabilità domestiche supplementari a causa del confinamento hanno inoltre creato – sottolinea il rapporto – il rischio del ritorno a una visione "tradizionale" dei ruoli di genere.

A livello globale, l'occupazione giovanile è scesa dell'8,7 per cento nel 2020, rispetto al 3,7 per cento degli adulti, con il calo più pronunciato nei paesi a reddito medio. Le conseguenze di questo ritardo e le perturbazioni che hanno frenato la partecipazione dei giovani al mercato del lavoro potrebbero durare per anni.

"La ripresa dalla crisi del Covid-19 non è solo una questione sanitaria. Anche i gravi danni alle economie e alle società devono essere superati. Senza uno sforzo mirato per accelerare la creazione di posti di lavoro dignitosi e sostenere i membri più vulnerabili della società e la ripresa dei settori economici più duramente colpiti, gli effetti persistenti della pandemia potrebbero durare per anni sotto forma di una perdita di potenziale umano ed economico e di un aumento della povertà e delle disuguaglianze – ha detto il direttore generale dell'Oil, Guy Ryder –. Abbiamo bisogno di una strategia globale e coordinata, basata su politiche incentrate sulla persona e sostenuta da azioni e finanziamenti. Non ci può essere una vera ripresa senza una ripresa dei posti di lavoro dignitosi".

In tale scenario la strategia di ripresa strutturata ideata dall'Oil poggia su quattro principi: la promozione di una crescita economica generalizzata e la creazione di occupazione produttiva; il sostegno ai redditi delle famiglie e alle transizioni nel mercato del lavoro; il rafforzamento delle istituzioni necessarie per una crescita economica e uno sviluppo inclusivi, sostenibili e resilienti; e l'utilizzo del dialogo sociale per sviluppare strategie di ripresa incentrate sulla persona.






Condividi
```