(Teleborsa) - Tra il 2000 e il 2019 i giovani occupati nella fascia d'età 15-34 anni sono diminuiti di 2 milioni e mezzo e, nello stesso periodo, è aumentata la quota di giovani che non lavorano e non cercano un'occupazione (dal 40% al 50%). Ma anche per chi l'impiego ce l'ha, le cose non vanno meglio: tra il 2004-2019, si sono ridotti di oltre un quarto i giovani lavoratori dipendenti (-26,6%) e risultano più che dimezzati gli indipendenti (-51,4%). Un quadro che ha visto la sparizione di 156mila imprese giovanili e 345mila giovani espatriati negli ultimi 10 anni, sintomo del peso degli ostacoli per i giovani all'iniziativa imprenditoriale nel nostro Pase. Questi i dati che emergono dall'
analisi dell'Ufficio Studi Confcommercio sulle giovani generazioni in Italia negli ultimi vent'anni. Anche per chi si appresta ad entrare nel mercato del lavoro, le prospettive di guadagno – sottolinea Confcommercio – non sono affatto rosee se si considera che, tra il 1997 e il 2016, il
reddito d'ingresso per i giovani lavoratori fino a 30 anni è calato del 7,5% per i dipendenti e ha registrato un crollo del 41% per gli indipendenti (imprenditori, lavoratori autonomi, liberi professionisti). Un quadro sconfortante confermato anche dall'analisi comparativa con altri paesi: negli ultimi 20 anni in Germania i giovani occupati sono diminuiti 10 volte di meno (-235mila contro 2,5 milioni). "È evidente – commenta l'associazione – che la questione demografica e quella giovanile rischiano di indirizzare il Paese verso un sempre più marcato declino e non è un caso che ogni anno, in Italia, ci sono 245mila ricerche di lavoro insoddisfatte da parte delle imprese".
Nel dettaglio, negli ultimi dieci anni – evidenzia l'analisi – l'
Italia ha perso 156mila imprese giovanili, che ora pesano meno del 9% sul totale imprese mentre nel 2011 tale quota era di circa undici punti e mezzo. Questa pessima performance ha due cause: la prima è la demografia, la seconda – spiega Confcommercio – è l'eccesso di difficoltà che incontra un giovane imprenditore potenziale nel realizzare il suo progetto lavorativo. Il che porta a una suggestione immediata: forse incentivi, sussidi e decontribuzioni, ampiamente utilizzati negli anni, non sono il sistema più efficace per rilanciare l'imprenditoria giovanile e, in generale, l'occupazione delle giovani generazioni. Ci vogliono, presumibilmente, politiche di maggiore ampiezza e stabilità: aggiustare i deficit di contesto, microcriminalità, logistica, formazione del capitale umano, migliorare la burocrazia, ridurre la pretesa fiscale". A ciò si aggiunge il fatto che i
"Neet" (giovani che non studiano, non lavorano e non si formano) nel nostro Paese fanno segnare un
"record" europeo arrivando, prima della pandemia, a 2 milioni, pari al 22% dell'intera popolazione di quella fascia d'età (in Spagna sono il 15%, in Germania il 7,6%).
"Il sostegno alle imprese giovanili rende più diffusa, robusta e duratura la crescita economica. Per questo – ha commentato il
presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli – è fondamentale utilizzare al meglio le risorse del Pnrr destinate ai giovani soprattutto per quanto riguarda formazione, incentivi e semplificazioni burocratiche. Favorire nel nostro Paese l'imprenditoria giovanile è la risposta più efficace alle sfide della competizione internazionale e della globalizzazione".
Ad un quadro così problematico, per Confcommercio, una risposta efficace "potrà venire dall'
attuazione di quanto è previsto nel PNRR, che ha come priorità trasversali le donne, i giovani ed il Sud, ma – sottolinea l'associazione – per rilanciare l'imprenditoria giovanile e, in generale, l'occupazione delle giovani generazioni sicuramente occorrono meno tasse e burocrazia e politiche più orientate a ridurre i gap di contesto: microcriminalità, logistica, formazione del capitale umano".