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Covid, allarme CGIA: in aumento caporalato e lavoro nero

Economia
Covid, allarme CGIA: in aumento caporalato e lavoro nero
(Teleborsa) - Da sempre a braccetto, caporalato e lavoro nero, soprattutto nel settore dell’agricoltura, hanno assunto dimensioni preoccupanti;
secondo alcune stime, infatti, in Italia sarebbero circa 200 mila le persone vulnerabili, ovvero braccianti costretti a lavorare in condizioni di grave sfruttamento. Una piaga sociale presente non solo nel Mezzogiorno, anche se questa ripartizione geografica presenta livelli di diffusione maggiori che nel resto del Paese.





Eppure, segnala l’Ufficio studi della CGIA, degli oltre 3,2 milioni di lavoratori irregolari presenti nel Paese, quelli sfruttati da caporali o da organizzazioni criminali sono una minoranza. Questo, ovviamente, non deve indurci a sottovalutare la gravità di questo drammatico fenomeno nel quale i lavoratori sono sottoposti a condizioni degradanti e disumane da parte di pseudo-imprenditori che agiscono, nei campi e talvolta anche nei cantieri, con modalità criminali. Anche perché, pur non essendoci dati in grado di dimostrarlo, a seguito della crisi pandemica la situazione è in deciso peggioramento.

Pertanto, anche la stima dell’Istat, che segnala in 3,2 milioni i lavoratori irregolari presenti nel Paese, è quasi certamente sottodimensionata.

Il lavoro nero presente in Italia “produce” ben 77,7 miliardi di euro di valore aggiunto. Una piaga sociale ed economica, sottolinea l’Ufficio studi della CGIA, che, a livello territoriale, presenta differenze molto marcate. La Lombardia, ad esempio, sebbene conti oltre 504 mila lavoratori occupati irregolarmente, è il territorio meno interessato da questo triste fenomeno: il tasso di irregolarità è pari al 10,4 per cento, mentre l’incidenza del valore aggiunto prodotto dal lavoro irregolare sul totale regionale è pari al 3,6 per cento; il tasso più basso presente nel Paese. Subito dopo, il Veneto (con un’incidenza del 3,7 per cento), la provincia Autonoma di Bolzano
(3,8) e il Friuli Venezia Giulia (3,9).

Per contro, la situazione più critica si registra nel Mezzogiorno. In Calabria, ad esempio, a fronte di “soli” 135.900 lavoratori irregolari, il tasso di irregolarità è del 22 per cento e l’incidenza dell’economia prodotta dal sommerso sul totale regionale ammonta al 9,8 per cento. Nessun’altra realtà territoriale presenta una performance così negativa.
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