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I successi storici della seconda Repubblica ne segnano la fine

Si è concluso il processo di traghettamento al governo della destra neofascista e della sinistra comunista.

Si discute della nuova legge elettorale, delle alleanze nel futuro parlamento, di leadership scelte attraverso le primarie, in un groviglio di vecchio e nuovo. Tra rottamatori e formattatori che cercano di riformare dall'interno i due maggiori partiti attuali e nuovi soggetti politici (o antipolitici).

E' finita la seconda Repubblica, quella dei traghettatori: da una parte Berlusconi che ha inserito nel circuito di governo quello che era rimasto del vecchio Msi trasformatosi in An e poi confluito nel Pdl, dall'altra Prodi che è riuscito a portare per ben due volte al governo ciò che rimaneva del Pci, a sua volta trasformatosi nei Ds e poi nel Pd in cui sono confluiti spezzoni del vecchio centro cattolico.

Entrambi i traghettatori sono riusciti ad incorporare nelle coalizioni che hanno guidato, come candidati e poi come premier, anche le nuove forze politiche estranee ai vecchi partiti di massa della prima Repubblica, da una parte la Lega Nord e dall'altra l'Idv. Il centro ha vissuto una continua mutazione, dall'Udc-Ccd alla Margherita, fino all'Unione di centro. I contenitori elettorali, rappresentativi delle coalizioni tra i partiti che venivano forzati ad allearsi in un contesto di coalizione maggioritaria, sono stati inadatti a forzare le identità, non sono stati in grado di arrivare al traguardo del bipartitismo: ed anzi, le tensioni tra le coalizioni al governo hanno caratterizzato la fine anticipata della scorsa legislatura in cui era stato il centro-sinistra a prevalere ed il dissolvimento della coalizione che era uscita vincitrice da quella che si sta concludendo. La nascita del Fli è stata determinante nel determinare il disfacimento del Governo Berlusconi. Anche nella Lega c'è stato un doloroso passaggio di mano: l'uscita di scena di Bossi segna la fine di un'epoca.

Il dissolvimento contemporaneo dei due schieramenti che hanno caratterizzato la Seconda Repubblica si deve in primo luogo al successo del processo di traghettamento: all'avvenuta ed ormai irreversibile perdita di identità antisistema della destra neofascista sotto il profilo democratico e della sinistra comunista sotto quello capitalistico. Oggi nessuno dubita più, come accadeva ancora nel '94 quando il Presidente della Repubblica accompagnò la nomina di ministri ex-missini con un severo richiamo al rispetto dei principi costituzionali, della fede democratica sia degli ex-aennini sia degli esponenti de La Destra, così come la presenza al governo di esponenti di Rifondazione comunista non evoca prospettive rivoluzionarie. Non è più un centro legittimante, che aggrega ora a destra ora a sinistra forze prima antisistema, la chiave delle future coalizioni.

C'è un secondo ed ancor più rilevante motivo che sta portando al dissolvimento dei due schieramenti: hanno tenuto insieme per vent'anni una società italiana divisa a metà, manichea. Una che credeva nelle virtù indefettibili dello Stato e l'altra in quelle taumaturgiche del mercato. Il centrodestra dava corpo alla vitalità imprenditoriale diffusa, quella che riteneva lo Stato solo un orpello ingombrante e costoso, mentre il centrosinistra manteneva viva la tradizione del solidarismo sociale e territoriale, quella che riteneva lo Stato artefice e garante di questi equilibri soprattutto nei confronti del grande padronato.

La crisi finanziaria ha colpito sia le piccole e medie imprese, il popolo delle partite iva ed i professionisti, dimostrandone la vulnerabilità economica e sociale a prescindere dalla odiosa ed odiata tassazione statuale, sia coloro che vedevano comunque nello Stato uno strumento capace di assicurare il benessere economico e sociale acquisito. Da una parte si è constatata la non autosufficienza del sistema produttivo e dall'altra l'insufficienza del sistema distributivo. Il rigore finanziario che stiamo sperimentando non è un valore, è una necessità. E' vuoto, anomico, non richiama allo spirito di sacrificio che anima il lavoro, che incita al risparmio, che sprona al rischio l'imprenditore. Ed è in questo vuoto, in questo venir meno contestuale dei miti dello Stato e del mercato, che i partiti della seconda Repubblica si dissolvono.

La seconda Repubblica si è conclusa: i leader traghettatori hanno compiuto l'opera, e la crisi ha dimostrato che Stato e mercato sono alternative insufficienti. La crisi non è politica, è di rappresentanza. Servono più società e più comunità per tutti: la Repubblica, tout-court.
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