L’economia globale continua ad attraversare una fase piuttosto opaca, con la
Cina in evidente rallentamento, l’
Europa a crescita zero e gli
Stati Uniti tra l’1.5 e il 2. Il
fiscal cliff americano è ogni giorno più vicino senza che dai politici arrivi il minimo cenno di possibile composizione dello scontro politico che si profila su tasse e spesa pubblica per la fine dell’anno.
Quanto all’Europa, una serie di smagliature e sfarinamenti sta mandando un po’ sullo sfondo il grande fatto politico dell’asse Merkel-Draghi.
La Grecia è un rompicapo senza fine. Il
Portogallo sta facendo passi indietro sull’austerità. La
Spagna vede una ripresa delle tensioni sociali e un conflitto sordo tra regioni e centro che attraversa anche il partito di governo. La
Francia continua a percorrere la strada mesta dei pacchetti di austerità (fatti solo di tasse) e nonostante gli sforzi rischia di mancare gli obiettivi. La
Germania fa ostruzionismo sull’unione bancaria e lavora per svuotarla il più possibile, quanto meno per le sue banche. La Slovenia è in affanno sulle banche. Spagna e Italia continuano a tergiversare sulla richiesta di aiuto alla Bce.
Nell’anticamera di Eurolandia,
la Romania, fino a tempi recenti modello di flessibilità e austerità, dà segni evidenti di insofferenza. Solo la Bulgaria, nei Balcani, rimane fedele ai buoni principi dei conti in ordine e del non vivere al di sopra dei propri mezzi.
In questo quadro così complicato chi investe dovrà sforzarsi di continuare a guardare la foresta senza farsi distrarre dai singoli alberi. A condizione che l’economia non peggiori dai livelli attuali (un obiettivo molto modesto) la riaffermazione della volontà politica di tenere in piedi l’euro e l’orientamento ultraespansivo delle banche centrali contano e conteranno molto di più delle inevitabili punture di spillo che ci attendono su vari fronti. Per questo continuiamo a pensare che, se le borse dovessero temporaneamente flettere di qui a fine anno, non ci sarebbe da spaventarsi ma da comprare.
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