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I mirabili passi indietro dell’industria europea

1997. Jospin, appena insediato, tra i suoi ministri.L’industria europea continua dunque ad arretrare, anche se il ritmo è rallentato. Per un malato che ha 37 di febbre il lunedì, 38 il
martedì, 39 il mercoledì e 40 il giovedì, se il venerdì il termometro segna 40.5 (invece di 41) di solito non si fanno grandi feste o
discorsi trasudanti ottimismo. Nel caso della crisi europea invece sì, mentre l’euro viene comprato a piene mani.

A 1.35 l’euro torna al livello che fu raggiunto per la prima volta alla fine del 2004. Da allora, 1.35 è stato il livello medio di tutti questi anni. Saremmo già in vista di 1.40 se un preoccupatissimo Hollande non avesse comunicato al mondo tutto il suo disappunto.

Lo stato d’animo di Hollande è comprensibile. Dopo avere creduto di potersela cavare con le popolarissime tasse sui ricchi e dopo avere sgridato per qualche mese gli industriali incapaci di reagire alla crisi, il governo francese si è rassegnato nelle ultime settimane a misure piuttosto decise sulla flessibilità del lavoro e ha cominciato ad accettare le pesanti ristrutturazioni industriali cui si era opposto con tutte le sue forze. È più che logico che un governo che percorre con grande fatica i primi passi verso la svalutazione interna (la diminuzione del costo dei fattori di produzione rispetto a quello dei concorrenti esteri) sia più che frustrato quando vede il tutto vanificato da una rivalutazione esterna (l’apprezzamento del cambio nominale).

Sappiamo che la Merkel ha replicato soavemente a Hollande affermando che l’euro a 1.35 va benissimo. È un livello che in effetti non preoccupa gli esportatori tedeschi e che in campagna elettorale rassicura i cittadini sulla bontà della loro moneta.

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