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La veduta corta della Merkel e le scelte del Consiglio Europeo

Ora che conosciamo i termini del compromesso raggiunto dal Consiglio Europeo, cosa faranno i paesi euromed?

Nell'ultimo anno, il governo italiano ci ha detto che il problema della crescita o passa a livello europeo o non può passare a livello nazionale. Ora il Consiglio europeo ha tagliato per la prima volta nella storia gli impegni di spesa da 994.176 a 959.988 per il settennio 2014-20. In termini nominali una riduzione del 3,5% ma i pagamenti previsti sono quantificati in 908 miliardi di euro. A fronte di una disoccupazione media del 12% c'è un riorientamento nominale dai fondi strutturali che passano da 354.815 a 325.149 miliardi di euro (-8,4%) che compensa in grossa parte l'aumento dei fondi per la crescita e il lavoro che passano da 91.495 a 125.614 (+37,3%). Si tratta di una operazione di maquillage statistico ingannevole perché anche i fondi strutturali servono alla crescita ma vengono ridotti. Rispetto alle originarie proposte della Commissione i fondi per la crescita e il lavoro subiscono un taglio di 40 miliardi con riduzione dei fondi per la ricerca, l'innovazione, la formazione e gli investimenti nelle reti.

Ebbene ora che conosciamo i termini del compromesso al ribasso raggiunto dal Consiglio europeo del 7-8 u.s. sulla base delle richieste di Cameron nella sostanza condivise dalla Merkel. Ora che sappiamo che per i prossimi sette anni non c'è una congrua strategia per la crescita a livello europeo e che gli attuali governanti europei dalla veduta corta hanno rinunciato a valorizzare il valore aggiunto discendente da misure di politica economica e finanziaria a livello centrale in grado di farci uscire dalla seconda recessione in cui siamo tutti precipitati, cosa faranno i Paesi euromed? Aspetteranno il miracolo di San Gennaro? Non si tratta di essere contrari o favorevoli al Fiscal Compact ma se, come scrivono diversi osservatori, siamo di fronte ad una scelta di rinazionalizzazione della politica fiscale, che così sia. È la democrazia. Vedremo cosa riuscirà a cambiare il Parlamento europeo che sembra non avere gradito le decisioni del Consiglio.

Credo che, data la gravità di dette decisioni, anche in questo scorcio di campagna elettorale, i principali partiti politici italiani dovrebbero chiarire le loro posizioni sul da fare. In teoria le strade sono due: l'una è quella imboccata dal Giappone e prima ancora dagli USA, a noi non consentita perché non abbiamo più lo strumento della politica monetaria; l'altra è quella del debito pubblico. Se il governo italiano che uscirà dalle elezioni vuole rompere la perversa spirale austerità-recessione ha solo una strada obbligata: quella di chiedere ed ottenere l'applicazione della golden rule. In pratica di rilanciare gli investimenti pubblici di 1-2 punti di PIL. Se il rilancio della crescita è la vera condizione che porta alla sostenibilità del debito pubblico, nella situazione attuale di abbondante liquidità, la strada obbligata è quella del ricorso al mercato tenendo fermo il massimo rigore nella gestione delle entrate e delle spese correnti.

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