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La fede nella FED

Giugno è stato un appetizer di quello che accade quando si tira troppo la corda.

Giugno è stato un appetizer di quello che accade quando si tira troppo la corda: “all-in” fino a Maggio, dove era permesso dilettarsi con raffinati stilemi e teoremi economici, ”all-out” sanguinoso nell’ultimo mese.
Risultato: tutto scende, mercati emergenti devastati a ogni livello, bonds in calo, commodities in bear market, segni rossi nel rendimento 2013 quasi ovunque.

Hindenburg Omen daily
Hindenburg Omen: cinque conferme prima del calo


Prima osservazione: la memoria dei mercati è cortissima, specie quando riguarda i grandi errori: anzi, più sono grandi, più è corta in quanto risulta massimamente doloroso il ricordo. Come abbiamo fatto a non capire, ci si dice col senno del poi.

La fede nelle banche centrali, in particolare nella FED (che ha margini di manovra molto maggiori rispetto alla BCE), è uno dei capisaldi degli investitori e dei media finanziari. Questa confidenza – che è anche alla base della diffusa convinzione che questo calo di Giugno sia una specie di “regalo” agli investitori e in particolare agli speculatori, andati momentaneamente lunghi in curva, ma pronti a rimettersi in pista - è basata su una percezione curiosamente parziale della realtà.

Il dato di fatto è che Greenspan non ha evitato il calo e la recessione di inizio 2000, che si è rimangiata cinque anni di rialzi, e che Bernanke non ha evitato il crollo 2008-2009. I due peggiori declini del secondo dopoguerra furono accompagnati da una politica di allentamento monetario (= calo dei tassi) estremamente aggressiva da parte della FED. Nel 2001-2002 i tassi a breve passarono dal 6% all’1,75%. Nel 2008-2009 passarono dal 5,25% allo 0,25%. Questo non evitò ai mercati il dimezzamento e oltre dai massimi. Ma se i mercati USA dal 2009 ad oggi si sono ripresi, la stessa fortuna non è toccata a tutti. Brasile, Francia, Italia, Cina e Russia sono ad anni luce dai massimi. Il Giappone è andato da 8 a 16mila ed è tornato a 13mila: il 31 Dicembre 1989 valeva 39mila, tre volte ora. Nel 2000 il MIB valeva 55000: oggi vale 15000, meno di un terzo.

E’ evidente che con i tassi a zero anche l’arma dello stimolo di allentamento monetario “normale” scompare. Ecco che, per ovviare in modo creativo, sorge il Quantitative Easing (letteralmente: “allentamento quantitativo”), che altro non è se non un calo meccanico dei tassi attraverso continue immissioni di liquidità sul mercato aperto. Lo scopo, sia detto subito, non è filantropico: le banche centrali non lo fanno certo per gli investitori, cercano semplicemente di evitare una crisi globale del debito attraverso il contenimento dei rendimenti delle future emissioni di debito. Se mi finanzio a leva e riacquisto il mio debito, abbasso i rendimenti di mercato allo zero virgola e le nuove emissioni potranno essere collocate allo stesso tasso di zero virgola. Quindi il costo dell’indebitamento statale cala. Discutibile è lo stimolo reale del calo dei tassi da QE sull’economia: ne sappiamo qualcosa in Italia. Effetti indotti non da poco: fame atavica di rendimenti e facilità di utilizzo della leva, che insieme portano a un incremento esponenziale del rischio. La ragione di questo calo non è nelle dichiarazioni, invero molto morbide, di Bernanke (già pre-silurato da Obama), quanto nella chiusura forzosa di posizioni a leva basate sul carry trade dei paesi emergenti e in particolare sulla scommessa di ulteriore svalutazione dello Yen.
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