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Appunti

Perché l’euro, a certe condizioni, non è da buttar via.

Petrolio. Ci avevano spiegato, più o meno un mese fa, che il ciclo positivo delle materie era inesorabilmente terminato e che un lungo bear market ci avrebbe accompagnato nei prossimi anni. La Cina è cotta, era il concetto, e bene che vada crescerà nei servizi, non certo nelle case e nelle cose, di cui è ormai satura.

Da allora, con l’eccezione del rame e di poco altro, è stato tutto un gran rialzo. Perfino quelli che erano considerati malati terminali, il minerale di ferro e i preziosi, sono tornati a dare segni di vitalità. Quella che dà però da pensare è la più importante tra le materie prime, il petrolio, che nella versione internazionale Brent è salito del 7 per cento e in quella americana Wti addirittura del 14 per cento.
Robert Ryman. No Title Required. 2006.
Ma come, l’America non era piena di greggio, di gas naturale e di carbone? Non era forse nella felice situazione di non sapere letteralmente dove mettere tutta questa grazia? Lo era, non lo è più. Non nel senso che la produzione sia diminuita, ma nel senso che nell’enorme caos che era diventato il mondo dell’energia negli Stati Uniti si sta finalmente e velocemente mettendo ordine. L’ordine non arriva da Washington, ma dal mercato, che sta funzionando in modo spettacolare.

Facciamo un passo indietro. Prima della rivoluzione del petrolio e del gas non convenzionali gli Stati Uniti erano un paese importatore. Il greggio arrivava dal Golfo Persico e dall’Africa e sbarcava sulla costa del Texas e della Louisiana. Da qui veniva in parte raffinato e poi spedito nel centro geografico degli Stati Uniti, a Cushing, dove c’erano chilometri di depositi dai quali il petrolio veniva poi redistribuito in tutto il paese. Tutta l’infrastruttura, costruita nei decenni, funzionava insomma da sud a nord.

Negli anni scorsi sono arrivati, in rapida sequenza, il petrolio da scisti dell’Alberta, quello del Dakota e quello di due importanti bacini texani. Tutta questa produzione crescente è stata inviata fortunosamente (spesso in treno) a Cushing, fino a farla scoppiare. I depositi, essendo al limite, si sono messi ad accettare solo la produzione più a buon mercato. Il petrolio Wti è così sceso a un livello di 25 dollari sotto il Brent.

Come sa ogni arbitraggista, un dislivello di 25 dollari tra un barile a Cushing e uno di Brent a Houston è succulento al di là di ogni immaginazione. In pochi mesi, grazie a un mercato molto libero ed efficiente, questi 25 dollari hanno creato un’infrastruttura completamente nuova di oleodotti, orientata questa volta da nord a sud. Il petrolio ora non viene più importato dall’estero e le raffinerie del Texas, invece di riceverlo dalle navi che sbarcano, lo prelevano direttamente da Cushing, che si sta velocemente svuotando. Fra poche settimane tutti i prezzi del mondo saranno perfettamente arbitraggiati, ovvero uguali, fatte salve le differenze di qualità e i costi di trasporto.

Per il momento l’arbitraggio ha funzionato verso l’alto, il Wti è cioè salito al livello del Brent. Questo è avvenuto nel timore che i fondamentalisti egiziani riescano in qualche modo a bloccare il Canale di Suez. È un’ipotesi che ci pare molto improbabile, visti i livelli di mobilitazione dell’esercito egiziano nella zona del Canale. Non appena la situazione egiziana comincerà ad apparire meno pericolosa, tutti i prezzi mondiali di greggio scenderanno insieme. In pratica, i benefici del boom energetico americano si spalmeranno a livello globale. Un’ottima notizia.

(Nella foto: Robert Ryman. No Title Required. 2006.)
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