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Uscire dalla crisi? C'è banca e banca

Il mercato europeo si è limitato ad arbitrare il differenziale dei costi nei vari Paesi, creando tensioni insostenibili. Se il credito ora non finanzia la crescita, aumentare il deficit pubblico è inutile: crescerà solo l'euroscetticismo.

Gli Stati hanno interesse ad una distribuzione territoriale omogenea del benessere, non possono tollerare che i divari salariali e di reddito superino la soglia della comune appartenenza alla comunità. Si interviene così con le reti di protezione: in America, la Social Security è uguale dappertutto, dalla Alabama alla California. In Europa, no: non solo ci sono distanze salariali siderali, visto che per lo stesso lavoro si va dai 300 euro medi mensili dell'operaio in Romania ai 2.500 euro dell'operaio tedesco, ma i processi di delocalizzazione e di immigrazione sono devastanti: è una guerra continua. Le imprese europee cercano di redistribuire la produzione e la manodopera dove più conviene, arbitrando costi e ricavi. C'è così chi vuole fermare le imprese che vanno all'estero e chi invece gli immigrati che cercano lavoro.

L'euroscetticismo è alimentato da queste distorsioni di fondo: l'allargamento dell'Unione ha messo insieme situazioni economiche e sociali estremamente diverse, con divari incolmabili che creano tensioni distruttive. La pressione per aumentare il welfare pubblico sostenendo le imprese, introducendo ammortizzatori sociali, e di conseguenza il deficit di bilancio, diviene sempre più forte. La stabilità dei governi viene messa a rischio.

Veniamo al punto cruciale: a seconda di come si configura il sistema finanziario, lo sviluppo economico è più o meno sostenuto dal credito e le imprese sono più o meno assistite negli investimenti; a seconda di come viene erogato il credito, le stesse banche possono accedere o meno alla liquidità della BCE; a seconda della presenza o meno di banche pubbliche, c'è più interesse alla crescita economica del territorio e meno alla distribuzione dei profitti agli azionisti. Se le banche pubbliche drenano meno risorse dalle imprese, poiché calmierano il livello degli interessi e soprattutto offrono credito a medio lungo termine, le imprese crescono di più e meglio. Forse hanno anche la capacità di tendere alla profittabilità aumentando il valore aggiunto della loro produzione e non tanto riducendo i costi attraverso la delocalizzazione e l'immigrazione incontrollata.

Gli ultimi dati della raccolta dei fondi di investimento in Italia e quelli della raccolta obbligazionaria delle banche sono divergenti: questa ultima va a picco, mentre la prima fa furore. Ma i fondi di investimento lavorano su titoli quotati, non vanno certo a cercare le singole imprese che hanno progetti di investimento o di ristrutturazione. Per questa via, il risparmio italiano si allontana sempre di più dall'economia reale.

Il problema della crescita non si risolve solo rimuovendo il vincolo quantitativo del Fiscal Compact: serve un nuovo ruolo degli Stati nello sviluppo economico. Il mercato, da solo non basta. In Italia, una volta bloccato il ciclo cinquantennale di sviluppo sostenuto dall'industria dell'auto e dalla edilizia, le prospettive per la crescita e l'occupazione si fanno sempre più difficili. Tutto ora si scarica sulla richiesta di maggior intervento pubblico, ma il deficit non può colmare le carenze nella allocazione del credito. C'è banca e banca.
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