Chi crede in questa logica comprerà fiducioso l’immortalità del bull market. Chi crede nella teoria tradizionale, secondo la quale anche i grandi rialzi (incluso quello in corso) ritornano prima o poi alla polvere, sarà via via più prudente.
Siamo pronti a scommettere che i livelli attuali delle borse non sono i massimi di questo ciclo. Non è mai successo, storicamente, che i mercati abbiano rinunciato a salire fino all’ultimo e si siano fermati in tempo. Il problema è che la seconda parte di un bull market è sempre un patto faustiano in cui, in cambio di una vita più lunga, si accetta una maggiore volatilità.
La volatilità, a sua volta, tende a generare errori di valutazione e di gestione e a fare raggiungere alla grande maggioranza degli investitori risultati inferiori a quelli dell’indice. Questo, e non un radicale pessimismo sulle sorti dell’economia e dei mercati, ci porta a raccomandare, nel corso dell’anno prossimo, una lenta e graduale diminuzione dell’esposizione al rischio.
Per questa fine anno e, probabilmente, per le prime settimane di gennaio, si potrà invece restare relativamente tranquilli.
Ogni anno ha la sua pena e le pene del 2014, in un modo o nell’altro, le abbiamo già metabolizzate. Quelle del 2015 ci appaiono oggi immerse nel futuro profondo. Fra poche settimane, improvvisamente, ci sembreranno vicine, chiare e distinte.
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