Putin, uomo intelligente, sa che l’Occidente sull’Ucraina alza la voce perché non vuole fare nulla sul piano militare e poco su quello economico, ma manderà i suoi carri armati a Kiev solo se l’Ucraina verrà ammessa nella Nato.
La Merkel, donna intelligente, non vuole l’Ucraina nella Nato e frena con acqua gelata le richieste di Poroshenko in questa direzione.
Non aspettiamoci, quindi, riedizioni clamorose di Budapest 1956 o di Praga 1968. Non pensiamo nemmeno a una Russia che lascia l’Europa al freddo. Aspettiamoci piuttosto frizioni apparentemente più modeste, abbastanza piccole da passare quasi inosservate sotto gli occhi dei mercati ma tali da influenzare l’atteggiamento della Merkel sulle sanzioni e, a cascata, sulla politica fiscale e monetaria dell’Eurozona.
Le prossime mosse della partita a scacchi si giocheranno sull’eventuale ampliamento territoriale delle
due repubblichette di Donetsk e Luhansk, sul taglio delle pensioni pagate da Kiev ai cittadini delle zone ribelli, sull’adozione del rublo nell’est del paese o sul tentativo dei russofoni di ricavarsi un corridoio lungo la costa settentrionale del Mare d’Azov, in modo da congiungere per via di terra la Crimea con la repubblica di Donetsk e la Russia.
La Merkel, ripetiamo, sa perfettamente che nessun soldato europeo (o americano) combatterà mai in Ucraina. Deve dunque giocare al massimo la
partita delle sanzioni e quella delle piccole provocazioni.
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