Ecco dunque il
Draghi del Qe raggiungere le vette virtuosistiche del
Draghi dell’Omt, quello che salvò l’Italia con il solo potere della parola. Eccolo promettere un trilione la prima volta, un trilione ma forse no la seconda, un trilione come aspirazione la terza. Eccolo vendere il trilione (che a ben vedere è una restituzione di quanto è stato tolto dal bilancio della Bce nell’ultimo anno e mezzo) prima come un intero, poi un pezzo alla volta, poi non escludendo la possibilità di concedere il Qe più pregiato, quello sovrano, poi dandolo come probabile, poi dicendo che ci sta lavorando sopra.
Sempre dello stesso trilione alla fine stiamo parlando, ma ogni volta in forme nuove. Non è chiaro perché il mercato si sia fissato con il Qe sovrano. Certo, ha funzionato in America, ma come hanno detto più volte
Friedman e Bernanke, conta molto di più la quantità di quello che si compra che non il tipo di asset. Per il principio dei vasi comunicanti, che
Greenspan citava ogni volta che poteva, la liquidità versata in un vaso si distribuisce subito a tutti gli altri. Che la Bce spenda il suo trilione in azioni, case, obbligazioni di questo o quel tipo, titoli esteri o titoli di stato non è importante come si pensa. Quello che conta, alla fine, è fare scendere il cambio, gonfiare il prezzo di tutti gli asset e fare sentire meglio tutti quanti. E, come ha detto più volte Draghi in conferenza stampa, mandare un segnale.
In ogni caso, ben consapevole della fissazione sul Qe sovrano, Draghi (con dietro la Merkel che tutto sorveglia e tutto preventivamente approva) la alimenta abilmente presentandola come il frutto proibito del giardino dell’Eden, custodito con la spada fiammeggiante dai cavalieri del
Bundestag e della corte costituzionale tedesca.
Economisti e analisti si spaccano la testa sui numeri sempre più invisibili dell’inflazione europea e riempiono infinite pagine per spiegare che il Qe va fatto subito e che semmai andava già fatto settimane o mesi o anni fa.
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