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La retorica sulla fiducia

Il fallimento del sistema politico contribuisce all'instabilità dell'economia e questa alimenta le diseguaglianze.

Il paradosso è che nel mentre il Premier velleitariamente vuole dare fiducia agli investitori esteri e agli imprenditori più retrivi che sono una minoranza, in maniera spavalda, crea sfiducia e massimo stress per la stragrande maggioranza dei lavoratori occupati, quelli disoccupati e gli inattivi che non vedono alcuna speranza nel loro futuro. Il dati recenti dell'Istat, che stima la disoccupazione al 13,2% pari a quello del 1977, è veramente deprimente, ma lui si rifugia nel dato parziale dei 100 mila posti di lavoro creati non da lui ma dall'economia e trascura il saldo netto.

La retorica della fiducia impazza anche a livello delle autorità europee. A Bruxelles servirebbe uno stretto coordinamento delle politiche monetarie, fiscali e delle riforme strutturali, ma attraverso il Fiscal Compact ed i protocolli aggiuntivi del SixPact e del Twopact, in pratica, i governi dei Paesi Membri dell'Eurozona non hanno alcuna autonomia decisionale in materia di politica economica e finanziaria perché questa deve essere approvata preventivamente e successivamente dalla Commissione europea per conto del Consiglio europeo.

Ma mentre predicano la fiducia, le autorità europee, un giorno sì e l'altro pure, minacciano l'apertura di una procedura di infrazione di alcuni paesi. L'esempio concreto è un articolo sul Corriere della Sera del 26-11-2014 di JyrkiKatainen e WernerHoyer (Vice-Presidente della Commissione europea, responsabile per l'occupazione, la crescita, gli investimenti e la competitività il primo e Presidente della Banca europea degli investimenti il secondo). I due stimano un calo degli investimenti europei di 430 miliardi (-15% rispetto al picco del 2007), valutano il fabbisogno sostenibile tra i 270 e i 340 miliardi (annui), proprio attorno al dato del piano Juncker che però è triennale. Un piano che secondo Daniel Gros e Tito Boeri è mera fiction, fumo negli occhi, o gioco delle tre carte perché in fatto di dati empirici dimostrerebbe che non si è mai vista una leva finanziaria di 15 volte rispetto ai capitali messi a disposizione da un Fondo strategico pubblico.

Per l'ennesima volta abbiamo la prova che la classe dirigente europea non è e non può essere migliore di quella dei paesi membri anche perché la prima è selezionata da quest'ultima. Ma leggiamo un passaggio di quanto scrivono i suddetti rappresentanti europei: “L'incertezza e l'avversione al rischio dei promotori dei progetti frenano gli investimenti reali. Per stimolare l'investimento e attrarre gli investitori privati e i promotori dei progetti sono necessari la fiducia nel quadro economico complessivo, la prevedibilità e la chiarezza del contesto normativo e politico, la fiducia nel potenziale dei progetti di investimento in fase di sviluppo e la capacità di sopportare i rischi. Si tratta di questioni che devono essere affrontate a tutti i livelli”.

In pratica i due mazzieri della “vecchia nonna Europa non più fertile, non più vivace” - secondo quanto ha detto Papa Francesco al Parlamento europeo - sorvolano sul quadro economico di stagnazione dell'economia europea, sui ventisei milioni di disoccupati a livello di Unione, sulla stagnazione e deflazione conclamate in alcuni paesi c.d. periferici tra cui l'Italia. Ma da ultimo il governatore della Bundesbank interviene per precisare che la deflazione è causata dal calo del prezzo del petrolio e, quindi, non ha motivo di cambiare la sua opposizione alle operazioni di acquisto di titoli approvate dalla BCE.

Tutti trascurano di dire che se le aspettative degli imprenditori non sono positive, è compito dell'operatore pubblico e, quindi, anche loro di rovesciarle: se non investono gli imprenditori privati, lo deve fare direttamente l'operatore pubblico proprio per dare prova concreta che esso crede nel futuro. Se il quadro normativo è confuso ed incerto allora la Commissione preparasse le opportune proposte di legge da portare davanti al Parlamento europeo.

Juncker ci dice che non ha a disposizione gli eurobond e che possono contare su alcuni storni di fondi del bilancio europeo e sulla leva finanziaria che potrebbe mobilitare la BEI nei prossimi tre anni. Io ribadisco che la fiducia si alimenta con atti concreti da parte dei governi e non con gli auspici e l'ottimismo di maniera. E peggio ancora con le minacce degli esami che non finiscono mai: il Presidente Juncker, appena superata la fiducia nel Parlamento europeo, si è affrettato a dire che non aveva aperto la procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia come avrebbe potuto ma aveva graziosamente rinviato a marzo la decisione. Ma forse questo era il modo in cui Juncker ha inteso ringraziare e sdebitarsi per l'appoggio ricevuto da Renzi.


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