Il
dollaro salirà per sempre? Le borse e i
bond saranno inesorabilmente sempre più forti? L'
euro e lo
yen seguiranno la sorte del peso argentino, che da 15 anni si svaluta senza soluzione di continuità? Il 2015 è cominciato bene per chi ha avuto in portafoglio qualche dollaro, azione o bond, ma quanto va tirata la corda?
Le grandi tendenze di mercato intossicano la mente. Se si è dalla parte giusta si cerca sempre una scusa per aspettare un altro mese o un altro giorno. Chiudere una posizione significa interrompere un bel sogno quando sappiamo benissimo che i bei sogni, nella vita, non sono poi così frequenti. Vendo domani, si pensa, e l'indomani si dice lo stesso, con lo stesso spirito con cui fra poco si smetterà di fumare e ci si metterà a dieta.
Paul Donovan di
Ubs sostiene che i grandi movimenti sui cambi su cui si affannano in concorrenza tra loro i vari paesi non cambiano nulla. I policy maker sono andati all'università decenni fa, quando si studiava che svalutare e rivalutare significavano la differenza. Chi svalutava esportava di più e importava di meno, conquistando quote di mercato. Per servire la domanda estera le imprese riprendevano a investire e ad assumere e l'economia si rimetteva a correre.
Oggi però non è più così.
L'euro scende da 11 mesi e la quota di mercato europea in America non è cresciuta, così come non è diminuita la quota di mercato americana in Europa.
Ancora più significativo il caso del Giappone. Lo yen scende da due anni e mezzo, passa da 78 a 120 e la quota di mercato in America non cambia, così come non cambia quella americana in Giappone.
(Nella foto: Hans Hofmann. Love Poem. 1962.)