Molti commentatori amano inquadrare i movimenti dei cambi in questa fase storica nel concetto di guerra valutaria di tutti contro tutti. I toni apocalittici fanno sempre effetto, ma non sono necessariamente appropriati. C’è infatti una certa razionalità negli aggiustamenti degli ultimi due anni e c’è anche una ragionevole disponibilità a collaborare tra i vari paesi. L’America, che non ha mai amato, se non a parole, il
dollaro forte, ha accettato prima uno
yen debole e poi un euro debole quando ha capito che la
situazione di Giappone ed Europa stava diventando insostenibile. L’aggiustamento ha avuto successo e ha permesso a entrambi di riprendere a crescere da una parte e di non cadere in una spirale deflazionistica dall’altra.
Il prezzo pagato dall’America è la rinuncia a quell’accelerazione della crescita verso il 3 per cento che sarebbe stato davvero possibile, almeno per quest’anno, se il dollaro non si fosse rafforzato. Un conto è però rinunciare al 3 per salvare il resto del mondo, un altro conto è pagare il salvataggio con una crescita zero (o dell’1-1.5 per cento se escludiamo il grande freddo e lo sciopero dei portuali in California). Certo, in questo modo
l’aumento dei tassi americani slitta verso la fine del 2015 ma per ridare colore e ossigeno all’economia americana occorre anche sgonfiare un po’ il dollaro, almeno per uno o due trimestri. La coperta, strattonata bruscamente verso il lato europeo, viene ora dolcemente e prudentemente riportata in parte (piccola, crediamo) verso il lato americano.
Le borse europee, vedendo un euro meno esangue, si spaventano oltremisura. Le posizioni più aggressive vengono precipitosamente ridimensionate e si riposizionano in parte in cash e in parte sulla borsa americana. Una delle sorprese di questi giorni recenti è del resto l’ottima tenuta degli utili delle società americane, incluse, in molti casi, quelle che esportano nel mondo.
Abbiamo così la situazione quasi paradossale in cui, in un mondo che cresce poco e con poca inflazione,
i profitti esplodono in Giappone, tengono molto bene in
America e si apprestano a crescere in misura significativa in
Europa. Il grande rialzo di bond e azioni deve certamente molto alla politica monetaria delle banche centrali, ma ha anche motivazioni proprie nella bassa inflazione e negli alti profitti.
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