Alla paura si sono mescolate in molti casi la rabbia e il disgusto.
Rabbia per la Cina, da sempre considerata molto abile nella gestione della sua economia e improvvisamente apparsa come pasticciona e dilettantesca su cambio e borsa. Rabbia per l'auto europea, in primavera considerata il migliore settore per cavalcare la nuova competitività dell'Eurozona. Disgusto di sé per essersi riempiti tutti di biotech ed essere caduti ancora una volta nell'ennesima trappola di una bolla.
Paura, rabbia e disgusto hanno caratterizzato anche il recupero successivo.
C'è stata la paura degli short, che hanno dovuto rincorrere dolorosamente il rimbalzo dopo avere esagerato con le vendite (sempre dettate da paura). C'è stata la rabbia per avere dato troppo peso ai seminatori di paura (quelli che David Zervos chiama gli Odiatori) e alleggerito quando sembrava che il ciclo globale positivo stesse andando in rovina.
C'è stata invece poca gioia e solo di sollievo, perché
pochi hanno approfittato dei prezzi bassi per allargare le loro posizioni. Quanto alla tristezza, ne è stata piena la seconda fase del ribasso, quella successiva allo shock iniziale. Una tristezza implorante, rivolta alle banche centrali così come quella della giovane Riley è rivolta ai genitori e alla classe per chiedere aiuto e comprensione.
È poi mancata del tutto, ci sembra, una passione fondamentale di cui si sono dimenticati anche gli sceneggiatori di Inside Out. Parliamo di quello che Cartesio chiamava desiderio, i filosofi antichi e medievali concupiscenza, Freud pulsioni orali e che la finanza comportamentale definisce avidità, la sorella gemella della paura.
Nessuna voce si è levata sui minimi per dire di comprare, come invece era successo gli anni scorsi e ha comprato solo chi aveva venduto in precedenza, mentre quasi nessuno ha allargato le sue posizioni.
Lo leggiamo come un segno positivo, perché significa che la paura è stata vera e profonda. Un vero stress test, non un gioco.
"