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Il piccolo pesce

I problemi della Cina, quelli veri e quelli immaginari

Il grande progetto di trasformazione dalla manifattura ai servizi va avanti veloce, anche se non si può pretendere che si realizzi in pochi mesi. I consumi crescono dell'11 per cento anno su anno e se qualcuno è più bravo ce lo faccia sapere. All'interno della manifattura è in corso uno spostamento dall'industria pesante all'alta tecnologia. Non un renminbi di sussidi per acciaierie e miniere, vasti programmi di infrastrutture per la connettività.

Quanto alle privatizzazioni, il rialzo di borsa della prima metà del 2015 aveva il compito, agli occhi del governo, di preparare la strada al collocamento di alcune parti del settore pubblico. È andata come è andata e le privatizzazioni sono state rinviate. Il governo, in ogni modo, non vuole privatizzare alla russa e creare una classe di oligarchi che privatizza i profitti e socializza le perdite. Il suo scopo è semmai di cedere uno alla volta rami di attività in grado di stare in piedi da soli e competere nel mercato.

Hu Jintao, niente riforme e molti applausi da OccidenteIl grande merito dell'attuale amministrazione è quello di avere liberalizzato i tassi d'interesse e di preparare la riforma più coraggiosa, quella del cambio. Per anni gli economisti e i governi occidentali hanno raccomandato esattamente questo, ma ora che la Cina sta realizzando quanto le si chiedeva le critiche si levano ancora più alte. In effetti, quando si diceva alla Cina di lasciare fluttuare il cambio si pensava che il renminbi sarebbe salito, ma vedendo che una valuta libera può anche scendere i liberisti si sono trasformati in dirigisti e invocano (come ha fatto Kuroda) la reintroduzione dei controlli sui capitali da parte della Cina.

Già, ci si può chiedere, ma perché il renminbi scende? Non ha forse, la Cina, un surplus commerciale che nel 2016 raggiungerà il livello record di mezzo trilione? La Cina, in effetti, non ha nessun problema di competitività, come invece spesso si dice. Ha semplicemente da attraversare la fase in cui i portafogli, finalmente liberi di investire dove vogliono, realizzano una diversificazione fisiologica. Gli americani hanno 9 trilioni di azioni e obbligazioni estere, gli europei dell'Eurozona ne hanno 7 e i cinesi ne hanno solo 0.2. Avranno diritto anche loro a comprarsi qualche azione americana, o no? Perché se noi compriamo un fondo emergente o un bond americano facciamo una normale attività di gestione, mentre se la stessa cosa la fa un cinese è il segnale della profonda sfiducia nella sua economia?
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