L'inflazione che sale e i rendimenti che scompaiono si traducono in una
perdita di potere d'acquisto dei bond, ma gli acquisti delle banche centrali impediscono ai bond di scendere di prezzo e l'obbligazionista, quando esamina il suo estratto conto, non vede perdite nominali e si mette tranquillo.
Intendiamoci,
l'inflazione non sta salendo molto, ma sta salendo. Le banche centrali dichiarano ogni giorno di volerla riportare al 2 per cento e dicono fra le righe che tollereranno volentieri uno sforamento. Dean Maki, un economista molto serio che si fa vedere poco in giro ma che è famoso per l'accuratezza delle sue previsioni, sostiene che, anche dopo il rallentamento nella creazione di posti di lavoro degli ultimi mesi, la
disoccupazione americana avrà il 3 davanti alla virgola all'inizio dell'anno prossimo.
In queste condizioni (e con una
Fed che trova sempre un motivo, magari perfettamente legittimo, per non alzare i tassi)
l'inflazione salariale americana non potrà che accelerare. Tanto o poco non lo sappiamo, ma cominciano a essere più numerose le storie di imprese che non riescono a trovare persone da assumere. L'Europa è ovviamente più indietro, ma è molto probabile che l'inflazione abbia toccato il minimo grazie al
petrolio in ripresa e alla notevole crescita dei salari tedeschi.
A proposito di
petrolio, ora che ha riconquistato i 50 dollari i pareri sono molto divisi. Già si notano le prime riaperture di pozzi negli Stati Uniti, ma è presto per dire se l'offerta è davvero pronta a riprendere l'iniziativa. Gary Shilling, un deflazionista d'acciaio che da anni prevede i Treasuries decennali all'uno per cento, ha studiato a fondo il mercato dell'energia e vede come una quasi certezza un ritorno a 10-20 dollari. La sua, come sempre, è una posizione isolata, ma il problema è che fino ad oggi ha avuto sempre ragione. Altri sono meno trancianti, ma non è comunque impossibile che la ripresa dell'
inflazione salariale si verifichi anche in presenza di un petrolio che torni a scendere.
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