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Dopo Brexit, che fare?

In una fase di forte accelerazione della globalizzazione, l'orizzonte degli statisti dovrebbe essere il governo mondiale

In una intervista al Corsera del 26 u.s. Amartya Sen, dopo avere richiamato il Manifesto di Ventotene, ha sostenuto che prima di fare l'euro bisognava fare l'Unione fiscale. Pur riconoscendo che la costruzione dell'Unione economica e monetaria è zoppa e incompleta, rispettosamente mi permetto di dissentire. Un mercato comune e poi unico non può funzionare bene senza una moneta comune.

EuroL'idea è vecchia quanto il Trattato di Roma. Ma l'integrazione monetaria subisce una forte accelerazione con l'abbandono del sistema dei cambi fissi di Bretton Woods voluto dagli USA (15-08-1971). Abbiamo avuto prima il serpente, poi il sistema monetario e infine l'euro. L'approccio funzionalista, in buona sostanza, ha funzionato. Sappiamo che l'Europa non aveva le caratteristiche di un'ottima area monetaria e che comunque servivano dei trasferimenti compensativi e perequativi. Ma i Paesi Membri ricchi non hanno voluto i primi, strettamente necessari per far funzionare bene la concorrenza né, tantomeno, i secondi. Un'impresa operante in zona periferica con forte deficit infrastrutturale non può competere normalmente con un'impresa collocata in area centrale vicina al mercato dei suoi clienti e fornitori.

In Italia l'attuazione dell'euro è stata disastrosa, producendo un forte aumento dei prezzi. Poi c'è stata una gestione filo-americana del cambio a cui solo recentemente ha posto parziale rimedio il Presidente della BCE Draghi. Dico che il problema più importante non è l'euro ma la politica economica. Ancora ai primi degli anni '70, ossia, prima della fine dei “gloriosi trenta”, si parlava del quadrato magico della politica economica: crescita sostenuta e sostenibile (vedi Conferenza di Venezia, aprile 1972, organizzata da Spinelli), piena occupazione, stabilità dei prezzi ed equilibrio dei conti con l'estero. Dopo 30-40 anni di neo-liberismo, ci ritroviamo in Europa con crescita media asfittica, 25 milioni di disoccupati, la deflazione e squilibri fondamentali nelle bilance dei pagamenti. Siamo dentro il quadrato tragico.

Delle due l'una: o l'Unione si dà un governo centrale dotato degli strumenti necessari e sufficienti ad affrontare questi problemi in chiave sussidiaria dei governi dei Paesi Membri oppure il suo futuro è veramente a rischio. Last but not least, vengo al problema dell'immigrazione.

È connesso in maniera ineludibile con il problema della disoccupazione diffusa tra i lavoratori europei, tenendo conto che il fenomeno rischia di aggravarsi per effetto delle nuove tecnologie e della digitalizzazione. La Commissione europea non può accettare come tassi normali di disoccupazione quello italiano dell'11,6% e quello spagnolo più del doppio. Un governo europeo degno di questo nome deve darsi l'obiettivo della piena occupazione. Lo Statuto della BCE va modificato secondo il modello della FED che indica anche l'obiettivo dell'occupazione. La misura è estremamente urgente se considero l'assenza o, se volete, l'estrema debolezza di un governo centrale dell'economia a livello dell'Unione. Solo in un contesto così modificato, l'Europa può sul serio cercare di diventare una società inclusiva non solo per i cittadini europei ma anche per quelli che hanno diritto a o vogliono diventarli.

È evidente che molte di queste politiche non sono fattibili nel breve termine perché richiedono modifiche ai Trattati. Ma proprio per questo motivo bisogna riaprire al più presto il cantiere delle riforme costituzionali a livello europeo. Ma se parliamo di politica economica in senso stretto non poco si può fare in tempi relativamente brevi.

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