Dove può fermarsi l'euro?L'
euro è ancora sottovalutato, ma da qui in avanti l'avvicinamento al livello di equilibrio di lungo periodo, tra 1.20 e 1.30 contro dollaro, sarà più impegnativo. Fino a qui abbiamo visto un grande rally di sollievo per il venire meno, con le elezioni francesi, dei rischi esistenziali per l'unione monetaria e politica. Questo sollievo ha poi coinciso con l'arrivo dei primi risultati della politica monetaria e valutaria di questi anni, che ha mantenuto l'Europa in terapia intensiva e ricostituente.
Oggi l'Europa è indubbiamente più forte, ma è comprensibile che i policy maker la vogliano mantenere sotto osservazione per qualche tempo prima di dichiararla completamente guarita. Per ora si è sospesa la terapia intensiva valutaria (l'euro si è rivalutato) ma non quella monetaria (i tassi rimangono sotto zero). Se Macron farà passare le sue riforme strutturali, come al momento sembra probabile, e se l'industria esportatrice tedesca avrà assorbito senza troppe conseguenze la perdita di profitti (ma non di quota di mercato) derivante dalla rivalutazione, l'euro sarà pronto per un rialzo ulteriore. Per il momento, riambientarsi per qualche tempo intorno a 1.20 sarebbe meglio. Andare subito oltre comporterebbe problemi sul fronte dell'inflazione, che subirebbe una pressione verso il basso, e su quello della crescita, che rallenterebbe.
L'inflazione è definitivamente morta?I mercati lo pensano, ma
le banche centrali non ne sono così convinte. Se l'economia globale riaccelera davvero, ritengono, la domanda raggiungerà l'offerta potenziale. Se non interverrà un aumento della produttività, possibile solo con una ripresa degli investimenti, l'offerta non crescerà abbastanza da tenere a freno i prezzi. Sia pure con le dovute cautele, quindi, le banche centrali vorrebbero alzare i tassi, quanto meno quelli nominali. A frenarle sta però intervenendo la debolezza del dollaro che, come di consueto, ha un potente effetto reflazionistico perché costringe il resto del mondo a rinviare ogni misura restrittiva, pena un rafforzamento eccessivo del cambio.
Il dollaro debole ha già indotto la Banca del Giappone a
rafforzare il Qe, la Bce a farsi ostentatamente vaga sul
tapering e la Banca d'Inghilterra a mantenere i tassi allo 0.25 nonostante un'inflazione prossima al 3 per cento.
Che cosa comporta tutto questo per bond e azioni?Il dollaro debole, obbligando le banche centrali a mantenere i tassi bassi e la liquidità abbondante, esercita una forte azione di supporto generale nei confronti degli asset finanziari, ma non in modo omogeneo. Gli esportatori americani sono avvantaggiati, quelli europei danneggiati.
In pratica il portafoglio obbligazionario andrà mantenuto in euro. Quello azionario includerà azioni americane (con copertura almeno parziale del cambio) e società europee orientate al mercato interno.
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