Questo tasso verrebbe da immaginarlo scolpito nella pietra e riportato eternamente uguale a se stesso in libri sapienziali fin dall'alba dei tempi e invece
cambia ogni sei mesi o quasi. Era del 4.25 nel 2012, scese al 4 nel 2013, al 3.75 nel 2014 e poi, sempre più velocemente, al 3.25 nel marzo 2016, al 3 in dicembre e al 2.75 di oggi. È chiara la natura estrapolativa e non realmente previsiva di queste stime. Se negli ultimi sei mesi l'inflazione e la crescita sono state più basse di quello che mi attendevo, allora saranno più basse per sempre e richiederanno un tasso finale più basso.
Per carità, ci mancherebbe, non è che umanamente si possa fare di più. Già
Popper dimostrò che, non essendo lo sviluppo della scienza prevedibile, nemmeno può esserlo quello della storia, di cui la storia della scienza è una componente. E figuriamoci quello dei tassi.
Il problema non è la
fallibilità delle stime (solo chi non fa non sbaglia). Il mercato, consapevole o inconsapevole, fa stime sul futuro continuamente e quindi continuamente sbaglia e si corregge. Il problema è che non sempre è chiara la differenza tra l'estrapolazione (la stima del futuro esclusivamente sulla base di ciò che è noto oggi) e la previsione (la stima del futuro sulla base di ciò che è noto, ma anche delle incognite note e di quelle ancora ignote).
Il discorso può sembrare astratto, ma ha implicazioni terribilmente concrete. Oggi i mercati vedono un mondo in apparente equilibrio e praticamente perfetto.
L'inflazione è bassa e stabile (per la Bce fra due anni sarà esattamente come oggi e per la Fed sarà fra tre anni solo di 0.4 punti più alta), la crescita è regolare e il tasso di disoccupazione, almeno in
America ha smesso di avvicinarsi troppo al livello che fa partire l'inflazione salariale e si è posizionato di recente in un punto tranquillo e non pericoloso. In questo contesto le banche centrali, pensa il mercato, avranno solo da fare ogni tanto modesti ritocchi all'insù dei tassi, ma non così ampi come la Fed continua a indicarci.
In un mondo bello e stabile, è sufficiente la forza d'inerzia per fare
salire le borse attraverso un rigonfiamento dei multipli. E la forza d'inerzia, finché non incontra ostacoli, non si esaurisce mai. Per questo, pensano in tanti, non ha senso vendere adesso solo perché i prezzi sono astrattamente cari. Se arriveranno ostacoli ci ripenseremo, ma perché rinunciare a mesi, trimestri o anni di ulteriore possibile rialzo?
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