Avendo scontato la perfezione a gennaio e una serie sorprendentemente numerosa di problemi in questa correzione i mercati saranno pronti per un atteggiamento più equilibrato e per una cauta e lenta ripresa durante l'estate e l'autunno. Le elezioni di novembre in America saranno un passaggio delicato, ma il nuovo Congresso si insedierà a fine gennaio e il 2018, se gli utili confermeranno le attese, si potrà concludere con segno positivo.
Più avanti, tuttavia, una serie di nodi strutturali comincerà a venire al pettine. Anche se l'intenzione delle banche centrali è di tollerare una certa quantità di inflazione i tassi continueranno a salire. Si cercherà tutti quanti di restare dietro la curva e di mantenere i tassi reali vicini a zero, ma la possibilità di un rialzo di troppo diventerà sempre più concreta. La liquidità, dal canto suo, continuerà a calare e per i titoli di debito ci saranno più offerta e meno domanda.
Va poi tenuto d'occhio il consumatore americano, che non può spendere molto di più a meno di non andare a risparmio negativo, mentre l'Europa dovrà continuare a digerire il rialzo dell'euro e la Cina completerà il suo lavoro di pulizia dopo la grande spinta alla spesa nel 2017 e prima di quella ancora più grande che si preannuncia per il 2021, centenario del partito.
Si noti che un
bear market non ha sempre bisogno di una recessione o di un incidente finanziario. Possono essere sufficienti, se si viene da altezze elevate, una crescita debole e la prospettiva di utili piatti da scontare con tassi in continua crescita, soprattutto se in un ambiente di liquidità calante.
Godiamoci dunque, augurandoci che ci sia, il recupero che si preannuncia per i prossimi mesi, ma cominciamo a entrare in un ordine di idee per cui si vende su rialzo più di quanto non si compri su ribasso, dando la precedenza, quando vendiamo, ai titoli meno liquidi. A meno, ovviamente, di non decidere di non preoccuparsi per il bear market che verrà (e che non sarà una ripetizione del 2008) e guardare davvero al lungo termine.
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