Anche i più distratti ricordano che in febbraio Trump ha annunciato
tariffe doganali del 25 per cento su alluminio e acciaio. È l'inizio della
fine della globalizzazione, si è detto, comincia una nuova cupa epoca di chiusura della mente occidentale. Per non parlare delle ricadute economiche, molto enfatizzate dai produttori di lattine per bevande gassate e dai costruttori di auto, tradizionali utilizzatori di metalli di ogni tipo. Aumenteranno l'
inflazione, hanno detto gli economisti, e i rischi di
recessione globale.
Curiosamente, mentre gli economisti calcolavano l'impatto su inflazione e crescita e gli analisti azionari abbassavano le stime sugli utili di lattine e auto, i diretti interessati, ovvero l'alluminio e il minerale di ferro (usato per produrre l'acciaio), nell'indifferenza generale se ne sono andati controcorrente per conto loro e sono scesi, non saliti. Il minerale di ferro, a 77 dollari per tonnellata prima dell'annuncio di Trump, sta oggi a 69.
Quanto all'alluminio, nel mese successivo all'annuncio se ne è sceso del 10 per cento. La discesa è stata però bruscamente interrotta il 5 aprile, quando
Trump ha annunciato nuove sanzioni contro la Russia e colpito in particolare la
Rusal, il gigante russo dell'alluminio, rendendole tra l'altro tecnicamente molto difficile pagare le cedole sulle sue obbligazioni. Da quel giorno, in due settimane, l'alluminio è salito del 30 per cento e il rialzo, secondo molti esperti del settore, può ancora continuare. Si noti che questa volta nessuno ha criticato Trump e nessun produttore di lattine ha fiatato. Nelle guerre di religione del nostro tempo la globalizzazione è il bene e la Russia è il male. Se combattere la Russia significa deglobalizzare, pazienza, in questo caso c'è una speciale dispensa e si può fare.
Questa vicenda ci offre numerosi insegnamenti e conferme.