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I viaggi della soia

Guerra dei dazi o guerra alla Cina?


Il conflitto con l'Europa e l'antipatia nei confronti del globalismo mercantilista della Merkel sono una questione assolutamente secondaria rispetto alla questione cinese. Trump può anche preferire in cuor suo un'Europa dei sovranisti, ma un'Europa dei sovranisti non gli cambierebbe la vita. Insomma, risolte le questioni di soldi, si può continuare a convivere con la Merkel a condizione che questa non faccia troppo fronte comune con la Cina.

Oggi l'America chiede all'Europa di schierarsi sull'Iran. Domani le chiederà di schierarsi sulla Cina. L'Europa cercherà di mantenere aperte le porte di Iran e Cina ma, alla fine, graviterà sempre verso gli Stati Uniti più che verso la Cina, soprattutto se il conflitto tra Cina e America, come è ben possibile, si aggraverà. Non ci sarà, quindi, l'alleanza dei liberoscambisti (Cina e Europa) contro la protezionista America anche perché, come stiamo vedendo in questi giorni, due esportatori per un importatore sono troppi e i due esportatori, alla fine, entreranno in conflitto tra loro.

La Cina, del resto, si sta preparando a un lungo conflitto con l'America. La svalutazione del renminbi di questi ultimi tre mesi, come ha notato Olivier Blanchard, è perfettamente calibrata per annullare a livello macro gli effetti negativi non solo della prima tranche di dazi americani (i 34 miliardi già in essere e i 16 imminenti) ma anche il pezzo da novanta dei 200 miliardi in preparazione per ottobre. I dazi del 25 per cento sulla prima tranche e quelli del 10 sulla seconda valgono 35 miliardi di dollari. E quanto vale la svalutazione del 7 per cento del renminbi spalmata sui 250 miliardi di esportazioni cinesi colpite dai dazi? Esattamente 35 miliardi di dollari. Come nel caso della soia, anche qui abbiamo la perfetta quadratura del cerchio. In pratica, nei rapporti di forza tra esportatori cinesi e importatori americani non cambierà assolutamente nulla e nessun prezzo in dollari salirà.

E dunque? Possiamo ipotizzare vari scenari. L'America, non potendo comprare renminbi sul mercato (non ce ne sono abbastanza) dovrà rassegnarsi a una Cina che svaluta ogni volta che l'America alza i dazi e dovrà quindi spostare il conflitto su altri terreni, come le sanzioni.

La Cina, dal canto suo, non potrà ricorrere facilmente all'atomica della vendita dei titoli di stato americani che detiene nelle sue riserve. Il rischio sarebbe quello di una crisi finanziaria internazionale da cui la Cina stessa non trarrebbe nessun vantaggio.

Alla Cina rimanevano fino a tempi recenti due strade, l'espansione del mercato interno e l'espansione verso ovest attraverso le operazioni di vendor financing che stanno dietro la Nuova via della seta. La seconda strada si sta però chiudendo velocemente. Le bellissime metropolitane con l'aria condizionata e i capitreno che si inchinano ai passeggeri costruite dai cinesi a Addis Abeba o a Lahore non sono gratis e i paesi che hanno accolto gli investimenti infrastrutturali cinesi ora si ritrovano pieni di debiti e si devono rivolgere, come farà presto il Pakistan del neoeletto Imran Khan, al Fondo Monetario Internazionale.

Ecco allora che la Cina dovrà accelerare sulla sua riconversione ai consumi interni e aumenterà ulteriormente le spese a sfondo militare.

Per chi investe la tregua tra Stati Uniti ed Europa è una buona notizia per l'azionario americano e tedesco, ma accelera al margine la normalizzazione monetaria della Fed. A favorire la borsa tedesca, almeno nel breve, è anche la politica ultraespansiva che la Bce, come ha confermato Draghi, manterrà nei prossimi 12 mesi. In Asia saranno favoriti i titoli legati ai consumi interni cinesi e la borsa del Giappone, un paese al riparo dagli attacchi di Trump.
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