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Tempi interessanti

È fragile l’economia o sono fragili i nostri nervi?


Questa percezione crea delle distorsioni. La crisi del 2015-16, negli anni Cinquanta, sarebbe stata ricordata negli annali come una recessione. Con questo criterio oggi staremmo entrando nel quarto anno di ripresa e considereremmo il ciclo ancora giovane. Se però retrocediamo la crisi del 2015 -16 a modesto incidente di percorso, la contabilità del ciclo ci dice che siamo al decimo anno di ripresa e che la fine non può che essere vicina.

Questa fragilità di nervi sembra estendersi alle banche centrali, come dimostra la loro riluttanza ad abbandonare il Qe negli anni scorsi e la disponibilità della Fed a passare da un atteggiamento ultrarestrittivo in ottobre a uno espansivo meno di quattro mesi più tardi, con un'economia americana in crescita e una borsa sotto i massimi di tutti i tempi solo del 9 per cento.

I casi infatti sono due. O è molto fragile l'economia e la Fed vede qualcosa di negativo che noi non vediamo oppure sono davvero fragili i nostri nervi, inclusi quelli di chi tra noi fa il banchiere centrale.

Nella prima ipotesi, quella di una crisi reale, c'è da approfittare del rialzo per correre a vendere. Come ricorda David Rosenberg, il mercato non va comprato quando la Fed smette di alzare i tassi e nemmeno quando inizia a tagliarli, ma qualche mese dopo che ha finito di tagliarli.

Nella seconda ipotesi, quella di una crisi di nervi, c'è da concludere che siamo tornati al mondo dorato degli anni scorsi, con economie in crescita mediocre e banche centrali, proprio per questo, sempre pronte a coccolare e sostenere i mercati. In pratica, c'è da rimanere investiti, tanto in azioni quanto in bond e in crediti. E questa è l'ipotesi che preferiamo.
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