Sono tutti argomenti, come dicevamo, interessanti e suggestivi. Ma facciamo un'obiezione, una sola.
Tutte le banche centrali dicono di
volere fare risalire non solo l'inflazione ma, ancora di più, le aspettative di inflazione futura. Ma la piena occupazione raggiunta ormai da anni in America, Giappone e Germania non ha fatto salire l'inflazione ai livelli desiderati.
Una quindicina di trilioni di Qe non ci è riuscita. L'inflazione degli asset finanziari non si è riversata sull'inflazione al consumo. Nemmeno l'espansione fiscale americana, che sta facendo crescere a velocità sostenuta il disavanzo pubblico, ha prodotto effetti visibili.
Ora, se l'inflazione la vogliamo sul serio, i casi sono due. O tutto il mondo si mette ad
aumentare la spesa pubblica ancora più aggressivamente di quanto non stia già facendo l'America e se la fa finanziare con la monetizzazione del debito da parte delle banche centrali, oppure resta solo una strada.
Come nota
Jean-Claude Trichet, finché non c'è inflazione salariale non ci sarà nemmeno inflazione generale dei prezzi al consumo.
Vogliamo dunque l'inflazione salariale? Sicuri? Bene, allora aumentiamo le retribuzioni minime, ridiamo potere ai sindacati, rendiamo più rigido il mercato del lavoro, chiudiamo le frontiere all'immigrazione e ristabiliamo il protezionismo.
Ci sono alcuni segnali che il pendolo stia cominciando a girarsi in questa direzione. In America si aumentano le retribuzioni orarie minime anche negli stati repubblicani e Trump lavora a tempo pieno sul
protezionismo. Fra 17 mesi una nuova America democratica potrebbe rafforzare i sindacati (in particolare nel settore pubblico) e adottare
politiche di Job Guarantee (un lavoro pubblico per chiunque lo desideri) che sposterebbero i rapporti di forza tra lavoro e capitale. Ci sarebbe però più immigrazione? Non necessariamente, dal momento che Trump non è finora riuscito ad arrestare i flussi in entrata.
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