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Nel caso improbabile (1/2)

Da dove potrebbe arrivare la prossima recessione?


Il debito nel mondo è ai massimi storici, ma è anche detenuto in misura crescente da mani solide (le banche centrali che, volendo, potrebbero anche cancellarlo). La bolle finanziarie sono certamente in formazione (in particolare nei crediti), ma finché i tassi rimarranno bassi (come sarà nel 2020) non scoppieranno. Quanto alle esogene, toccando ferro, abbiamo solo la guerra commerciale, che sembra avviata verso una tregua.

Restano dunque due possibilità per una recessione nel 2020.

La prima è quella di un errore di politica monetaria. Non di un errore futuro, ma di un errore già commesso. Ci riferiamo ai due rialzi di troppo dei Fed Funds di fine settembre e fine dicembre 2018, un anno fa, e al Quantitative tightening chiuso in fretta e furia, per fortuna, tre mesi fa. Tutte misure dovute a colpe gravi. La prima, il dottrinarismo dei tanti seguaci della curva di Phillips ancora presenti nella Fed, è umanamente perdonabile. Nessuno abbandona facilmente le credenze che ha condiviso tutta una vita. La seconda, l'alzare i tassi per ripicca contro Trump che chiedeva rudemente di abbassarli, è assolutamente imperdonabile, anche perché ha indebolito il prestigio della Fed proprio nel momento in cui si voleva marcarne l'indipendenza a futura memoria.

Per gli effetti ritardati della politica monetaria (da 12 a 18 mesi, a volte anche di più) l'errore di fine 2018 deve ancora finire di dispiegare i suoi effetti negativi. Esiste dunque una finestra di rischio per i primi mesi del 2020, quando i primi germogli di ripresa dovuti alla tregua commerciale dovranno scontrarsi con consumi e investimenti che si stanno ancora indebolendo.

La seconda possibilità di recessione potrebbe essere dovuta a una crisi di fiducia negli Stati Uniti. Non tanto per l'impeachment, che si sta rivelando una bolla di sapone, quanto per le presidenziali che si avvicinano. Tra alti e bassi, i due candidati democratici anti-business, Warren e Sanders, controllano metà dei voti delle primarie e Bloomberg sembra solo togliere consensi agli altri centristi. Si profilano quindi due scenari profondamente divergenti. Nel caso di un Trump in ripresa di consensi nei prossimi mesi, la Convenzione democratica di Milwaukee, in giugno, nominerà un centrista nella speranza che solo lui (o lei, non dimentichiamo la Klobuchar, un'ottima candidata) possa battere Trump. In questo caso i mercati si troveranno di fronte due candidati pro business o comunque non ostili. In caso di Trump debole, tuttavia, la tentazione di una scelta radicale potrebbe prevalere e trasformarsi, proprio per la debolezza di Trump data in ipotesi, nella conquista finale della Casa Bianca.

In questo secondo scenario, la crisi di fiducia potrebbe iniziare anche prima del voto, frenare ulteriormente gli investimenti produttivi, che già brillano poco, e cominciare a provocare una riduzione delle assunzioni di nuovo personale da parte delle imprese. Ricordiamo che, storicamente, basta un aumento del tasso di disoccupazione di 0.4 punti percentuali per provocare una recessione. Oggi siamo al 3.6. Non inganni il fatto che il 4.0 sarebbe ancora un basso livello di disoccupazione. È la differenza che conta.
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