L'epidemia, ovviamente, deprime la produzione. La cosiddetta recessione di Eisenhower del 1958, che provocò la perdita di cinque milioni di posti di lavoro e una discesa del Pil che a un certo punto sfiorò il 10 per cento, fu dovuta a fattori endogeni (i rialzi dei tassi dei due anni precedenti e una crisi del settore automobilistico) ma fu resa più acuta dall'epidemia di asiatica che provocò 70mila morti solo negli Stati Uniti e costrinse a letto milioni di persone. Nel caso della pandemia in corso, le conseguenze economiche sono rese ancora più pesanti dalla decisione senza precedenti di
sospendere la produzione in quasi metà dei settori su scala praticamente globale.
Dove
le cose si fanno più complesse è nella risposta monetaria e fiscale a guerre ed epidemie. Per finanziare le guerre, storicamente, i monarchi tassavano i nobili o contraevano debiti che poi ripudiavano o monetizzavano. Gli ultimi esempi di ricorso alle tasse risalgono alla patrimoniale di guerra del Reich nel 1914 e alle aliquote marginali elevate in America e in Gran Bretagna durante la Seconda Guerra Mondiale. Molto più frequente, soprattutto a guerra finita, lo
smaltimento del debito attraverso l'inflazione o, una specialità britannica, la sostituzione volontaria del debito pregresso con nuovo debito irredimibile. Sul piano economico, la ricostruzione europea dopo il 1945 è avvenuta in un contesto di bassa tassazione, deregulation, intervento pubblico e apertura dei mercati internazionali.
Le pandemie non sono mai state oggetto di una risposta di policy specifica. Questa è dunque la prima volta. Ci muoviamo in acque inesplorate e anche l'analogia con l'economia di guerra, come abbiamo visto, non ci è particolarmente utile. Fortunatamente il dibattito iniziale sulla natura inflazionistica (sostenuta da Rogoff) o deflazionistica della crisi è stato rapidamente superato con il netto prevalere della seconda lettura non solo nel dibattito accademico ma, quel che più conta, nella linea d'azione di governi e banche centrali.
Il buco nero della
deflazione, d'altra parte, non è un fenomeno circoscritto nel tempo della quarantena, ma è destinato a protrarsi nei prossimi mesi e anni. Le guerre, tipicamente, si concludono in un tempo definito con un armistizio e un trattato di pace. C'è un prima e un dopo e nel dopo il sollievo psicologico aiuta consumi e investimenti a ripartire, per quanto possibile. L'epidemia non ha una fine netta, ma sfumata.
La Cina di oggi si è ripresa all'85-90 per cento e continua a recuperare, ma i consumi privati sono deboli e ancora limitati allo stretto necessario. Le persone si chiudono in casa dopo il lavoro e pochi si avventurano a comprare un'auto o una casa, spese importanti che richiedono fiducia nel futuro. Da qui la necessità di quegli
investimenti pubblici che stanno per ripartire. Spesso criticati in passato come insostenibili, saranno proprio loro il sostegno dell'economia cinese nella prossima fase.
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