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Quanto spazio ai ciclici?

Le grandi dislocazioni del mercato sottendono nei casi estremi una nuova antropologia. Nel 1999-2000, al culmine della bolla legata a Internet, le borse immaginavano un'umanità completamente digitale e smaterializzata, prossima a vivere in una realtà virtuale che non aveva più bisogno di acciaio e petrolio se non nella misura minima che serviva a produrre e alimentare reti di computer. E così i multipli delle società legate all'informatica o alle telecomunicazioni salivano verso l'infinito mentre petroliferi, minerari, chimici e industriali tradizionali finivano relegati nella polvere.

Lo sgonfiamento della bolla dei tre anni successivi corresse questi eccessi. Stare corti di tecnologia e lunghi di difensivi fu, per chi la fece, una scelta molto redditizia.

La Grande Recessione del 2008-09 ebbe meno implicazioni antropologiche. Certo, l'umanità finanziarizzata che aveva caratterizzato gli ultimi anni della Grande Moderazione subì un duro colpo, ma la ripresa che ne seguì fu piuttosto tradizionale e fu trainata, nei primi mesi, da classici Early Cyclicals come auto e industriali tradizionali. Grande assente, fino a metà ciclo, fu il mondo legato all'edilizia e alle banche, penalizzato dagli eccessi precedenti e dalla reazione dei regolatori.

In realtà, la ripresa dei ciclici tradizionali fu relativamente breve. Non appena il mercato si convinse della nuova evidenza di una crescita economica più debole del solito e dell'assenza di pressioni al rialzo strutturali sui tassi fu evidente che l'unico settore che poteva offrire opportunità di crescita era la grande tecnologia. Solo nell'ultimo anno del ciclo, il 2019, alla tecnologia aveva preso ad affiancarsi una nuova antropologia virtuistica, quella di un'umanità dedita al perseguimento di nobili idealità politicamente corrette e meticolosamente censite attraverso le griglie ESG. Al punto da spostare seriamente i multipli di borsa, punendo il vizio e premiando la virtù.
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