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Letture estive

La fine del mondo che conosciamo e l'alba del nuovo


L'America ha ricostruito l'Occidente dopo la guerra con un'economia florida, poco debito e asset finanziari a buon mercato. Il dollaro, in quel contesto, è stato meritatamente valuta di riserva intercambiabile con l'oro. A un certo punto però, verso la metà degli anni Sessanta, l'America ha iniziato a consumare più di quanto produceva e a finanziare ogni tipo di spesa pubblica a debito. Ha dovuto svalutare per tutti gli anni Settanta per rimediare, ma il dollaro non ha mai perso il ruolo di dominus degli scambi internazionali. L'America ha poi afferrato al volo la ciambella di salvataggio della globalizzazione e della delocalizzazione, avviando quella macchina che sembrava in moto perpetuo di disinflazione, tassi bassi, rialzi azionari, buy back. Così facendo è però sprofondata nel debito, ha perso know-how, ha ridotto la sua base produttiva, ha penalizzato i suoi operai un tempo ben pagati e ha coltivato la serpe in seno di quella Cina che oggi vuole rimpiazzarla come un tempo l'America rimpiazzò la Gran Bretagna.

Ora che la Cina presenta il conto, l'America si ritrova disorientata, socialmente polarizzata, culturalmente divisa, profondamente indebitata e con asset finanziari ai massimi storici. Prudentemente Dalio la colloca non alla fine, ma a tre quarti del suo percorso imperiale. Se non da una guerra con la Cina, l'ultimo quarto sarà comunque funestato da una repressione finanziaria generalizzata, da crisi del debito, conflitti sociali, populismo di ogni colore. Il colpo di grazia arriverà se e quando il dollaro perderà il suo status di valuta di riserva, perché allora l'America dovrà imparare a vivere dentro i propri mezzi, pagando le sue importazioni in oro e non in dollari se non, peggio ancora, con la carta del nuovo dominus.

Pessimista sul primato dell'Occidente è anche Viktor Shvets, autore di The Great Rupture, un libro di grandi ambizioni ma chiaro e conseguente nel suo percorso. Shvets, strategist di Macquarie, ha vissuto un terzo della sua vita in Unione Sovietica, un terzo in Cina e un terzo in America. È un perfetto world historian, quindi, ed è anche lui convinto che le risposte sul futuro vanno cercate nel passato. L'idea di Shvets è che le nuove tecnologie e l'intelligenza artificiale costituiscono uno di quei punti di svolta che compaiono nella storia ogni qualche secolo.

Per capirne la natura Shvets torna al punto di svolta precedente, quello della modernità, e si concentra sul XV secolo. Alla sfida della modernità l'Europa rispose aprendosi, anche a rischio di vedere destabilizzati i suoi assetti culturali, politici e sociali. Russia, Cina e mondo islamico si chiusero invece a riccio, arrivando in Cina a distruggere la flotta che aveva scoperto l'America prima di Colombo e nel mondo islamico a proibire la stampa di qualsiasi libro per i successivi tre secoli. Il risultato è che chi ha abbracciato la modernità, l'illuminismo e il pensiero liberale ha dominato il mondo per il successivo mezzo millennio, mentre chi si è chiuso ha perso il suo impero.
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