Detto questo,
chi investe in Cina deve avere chiari anche i rischi che corre.
Ci sono in primo luogo
rischi geopolitici. La guerra fredda tra Stati Uniti e Cina è iniziata da poco tempo e facciamo fatica a tenerne il debito conto, ma è una questione seria che resterà a lungo tra noi. L'eventuale arrivo di Biden alla Casa Bianca non cambierà le cose se non nella forma. I democratici sono del resto tradizionalmente più falchi dei repubblicani in politica estera. A parte la parentesi neocon di Bush, che nessun repubblicano vorrebbe oggi ripetere, il Vietnam l'ha cominciato Kennedy e hanno fatto più guerre Clinton di Reagan e Obama di Trump.
E di guerra come possibilità nel futuro non necessariamente remoto si parla da tempo sia a Washington sia a Pechino. Non una guerra nucleare, ma nemmeno uno di quei conflitti in paesi terzi lontani con cui si tenevano occupati Stati Uniti e Unione Sovietica ai loro tempi. La Cina, che si sente soffocata dal controllo americano delle sue coste e che è già in un conflitto a bassa intensità con l'India, sta provando a sfondare nell'altra direzione attraverso la
Via della seta e
cerca uno sbocco sull'Oceano Indiano attraverso il Myanmar e il Pakistan. La frizione lungo i mari del Pacifico, tuttavia, è destinata a crescere ancora e a trovare sfogo in possibili incidenti con Taiwan (che la Cina intende riconquistare) o nel Mar Cinese meridionale.
La crescente propensione americana a utilizzare le sanzioni economiche potrebbe un giorno comportare ostacoli di vario genere per chi investe in Cina. Ne abbiamo già dei piccoli esempi nel minacciato delisting dei titoli cinesi quotati sulle borse americane o nel peso ridicolmente basso (per pressione americana) dei bond e delle azioni cinesi negli indici globali.
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