E così spesso
si pasticcia con euristiche senza molto valore. C'è chi vende non appena ha un profitto del 10 per cento. C'è chi vende non appena ha una perdita del 10 per cento. C'è chi non vende mai perché l'azionario nel tempo sale sempre. C'è chi vende perché non ne può più di perdere.
C'è poi chi, quando si decide, vende tutto anche se è solo per giocarsi un piccolo ribasso e chi invece vende quote insignificanti anche se sente avvicinarsi una grande recessione.
E poi perché vendere ora e non domani o fra un anno?La questione del vendere diventa più complicata in un momento come l'attuale di borse ai massimi di tutti i tempi e di multipli storicamente elevati (giustificati finora con i tassi bassi). Ma questo è anche un momento di grande ripresa (anche se non sincronizzata), di liquidità straordinariamente abbondante e di profitti sorprendentemente positivi.
Fino a ieri la narrazione era facile. Vaccini, riapertura, politiche espansive, tassi a zero per molti anni a venire. Ora si cominciano a sentire narrazioni più articolate e ci si pongono delle domande che prima non venivano in mente.
Quanto durerà l'effetto delle politiche fiscali superespansive? C'è chi parla di due anni e c'è chi dice due trimestri. Che cosa succederà quando le politiche fiscali diverranno meno espansive? Che succederà se l'inflazione non sarà solo una fiammata di pochi mesi?
Come reagiranno gli utili finali delle società una volta che queste avranno dovuto assorbire l'aumento delle materie prime, quello delle retribuzioni, quello degli interessi da pagare sul debito, quello delle tasse e il costo della reregulation?
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