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Le due inflazioni

Una è transitoria, quella vera è in costruzione


Dell'inflazione strutturale, invece, vediamo per ora solo lo scavo delle fondamenta, ma i lavori procedono di buona lena e il progetto è grandioso. Dopo le recessioni degli ultimi 40 anni, secondo un calcolo di JP Morgan, l'output gap si è chiuso in 30-40 trimestri. Questa volta già alla fine di quest'anno, ovvero dopo solo 6 trimestri, i paesi sviluppati avranno completato il riassorbimento delle risorse produttive lasciate inutilizzate dalla crisi.

Dal canto suo la Commissione Europea stima che anche per l'Europa, la regione che si ripresenta per ultima all'appuntamento con la ripresa, l'output gap sarà già azzerato l'anno prossimo in quasi tutti i paesi dell'eurozona (per l'Italia rimarrà ancora un punto e mezzo di Pil).

Una volta colmato l'output gap, la crescita non inflazionistica è solo quella determinata dall'aumento della popolazione (che è praticamente terminato in tutto il mondo, con l'esclusione dell'Africa) e dall'aumento della produttività, che da molti anni, smentendo i cantori dell'innovazione tecnologica, è fermo su scala globale, secondo le stime del Conference Board (la Confindustria americana), all'1.7 per cento annuo. Poiché l'intenzione è quella di crescere ben oltre questo livello per molti anni, è evidente che le pressioni inflazionistiche cresceranno. E qui non parliamo dei prezzi di questo o di quel settore, come facciamo con l'inflazione da disordine, ma di un rialzo del livello generale dei prezzi.
Abbiamo scritto in passato che l'output gap è un concetto elegante che si presta però a ogni genere di abuso. In particolare, dopo 40 anni di lotta alla rigidità del lavoro, è sempre meno chiaro il confine tra chi lavora e chi è semioccupato, disoccupato o precario o irregolare. È sempre più difficile, in altre parole, calcolare quanto di più si potrebbe produrre con le risorse umane disponibili perché si ha un'idea imprecisa di quante siano queste risorse.

In America si è deciso quindi di smettere di basarsi sul numero di disoccupati e di adottare invece gli inoccupati in generale come unità di misura delle risorse inutilizzate. In questo modo si definisce inutilizzato non solo chi è iscritto alle liste di disoccupazione ma anche chi sta a casa per sua scelta. È chiaro che, diluita in questo modo, la misura delle risorse inutilizzate diventa di fatto irrilevante ai fini della politica monetaria. In pratica si è deciso di ignorarla e di procedere a stimolare l'economia alla cieca, contando di sapere frenare in tempo quando, prima o poi, si inciamperà sull'inflazione.
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