La situazione è così complessa che alcuni economisti (come l'ex Fed Danielle DiMartino Booth) cominciano a paventare il
rischio di stagflazione una volta che il boom da riapertura, nel prossimo trimestre, avrà terminato il suo corso. Con un mercato del lavoro diventato più segmentato e più rigido, dicono, la reflazione della Fed produrrà presto più inflazione che crescita.
Altri, come Lacy Hunt (anche lui ex Fed), sono ancora più preoccupati e ipotizzano un ritorno a una condizione di deflazione strutturale. Non pochi, nel mercato, ne traggono l'idea che bisogna riempirsi di governativi trentennali a tasso fisso.
Altri ancora, come
Ray Dalio, rimangono convinti che siamo in un
nuovo superciclo superaccelerato di reflazione e che in un anno abbiamo ripercorso tutti gli anni Sessanta e ci troviamo ora lanciati verso gli anni Settanta.
Larry Summers, dal canto suo, sostiene che fra poco la Fed non saprà più se diventare restrittiva per arginare l'inflazione e difendere il dollaro o se diventare ancora più espansiva per combattere il rallentamento prossimo venturo o un ribasso di borsa. Quello che è certo, dice, è che i margini di manovra per alzare i tassi, con un
debito complessivo cresciuto di 40 punti di Pil in un anno, sono molto ridotti. Abbassare ancora i tassi, d'altra parte, trasformerebbe anche l'America (l'Europa lo è già da tempo) in un nuovo Giappone incartato su se stesso.
Chi è immerso nei mercati finanziari e li vede salire costantemente può essere giustificato nel pensare che siamo in un mondo meraviglioso che non finirà mai. Se si prova però a guardare al di là di questa straordinaria fase di crescita (ed è arrivato il momento di farlo perché il picco è probabilmente già alle nostre spalle) si vede un orizzonte incerto, confuso e non privo di rischi.
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