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Invisibilia

Azioni come opere d'arte


Già, la borsa. Chiedete a uno scienziato di che cosa è fatto l'universo e nella stragrande maggioranza dei casi vi darà una risposta fisicalista. Verrà cioè negato che esista qualcosa che non sia fisico, come ad esempio il mentale.

Guardate però al mondo della finanza e noterete che dei 35 trilioni di capitalizzazione dello Standard and Poor's 500 è fatto di beni tangibili (immobili, impianti, scorte) solo il 10-15 per cento. Il resto è immateriale. Potremmo dire anche (si pensi al valore del marchio di un'azienda o di un prodotto) mentale o simbolico.

Certo, le valutazioni sono fatte oggi soprattutto partendo dalla capacità presente e futura di creare reddito, non da una fotografia statica del patrimonio. Chi opera in un settore maturo ha valutazioni relativamente basse (10-15 volte gli utili), chi opera in un settore in rapida crescita ha valutazioni doppie. Chi sta infine sulla frontiera della disruption ha valutazioni a metà strada tra la logica dell'opzione e quella del biglietto della lotteria (basta che una sola di queste società abbia successo in futuro per compensare il loro costo complessivo oggi). Bisogna però ammettere che una parte del mercato valuta questo terzo settore come un'opera d'arte da ammirare e di cui essere orgogliosi se se ne possiede anche solo una piccola quota.
Il problema della valutazione di un'azione come opera d'arte è che anche nell'arte esistono le mode. Negli anni Ottanta salivano i prezzi degli Impressionisti perché i soldi li avevano i giapponesi, che amavano particolarmente questa corrente. Negli anni Dieci sono invece saliti soprattutto i maestri americani, perché i soldi venivano dalla finanza di Wall Street.
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