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L'ultimo imperatore

Cina, restare o scappare?

Chi ha visto L'ultimo imperatore, il grande film di Bernardo Bertolucci che ripercorre il Novecento cinese seguendo la vita di Puyi, ultimo sovrano della dinastia Qing deposto nel 1911, ricorderà le scene centrali dedicate all'insediamento di Puyi come imperatore del Manchukuo, lo stato fantoccio creato dai giapponesi nella Manciuria da loro occupata nel 1931.

La corte mancese di Puyi viene descritta come profondamente corrotta e lo stesso imperatore, ormai oppiomane e abbandonato anche dall'imperatrice, diventa il simbolo dello stato di degrado in cui i diavoli stranieri (per usare la terminologia della storiografia cinese) hanno ridotto un paese che un tempo si considerava il centro del mondo.Quello che il film non racconta (la sceneggiatura fu approvata preventivamente dalle autorità cinesi) è che la Manciuria occupata fu guidata da una tecnocrazia formata da giovani laureati giapponesi di simpatie marxiste cui Tokyo lasciò mano libera in cambio di un generico giuramento di fedeltà a Hirohito. Questi giovani tecnici misero così in piedi un'economia pianificata dominata da imprese statali e dall'industria pesante, esattamente il modello sovietico. Come in Unione Sovietica il modello produsse negli anni Trenta ottimi risultati.
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