Il 15 ottobre 1929
Irving Fisher, uno dei più grandi
economisti del secolo scorso, consegnò al New York Times un articolo che conteneva una frase che gli sarebbe costata la damnatio memoriae, almeno per il grande pubblico. I mercati azionari, scrisse, hanno raggiunto quello che sembra essere un plateau permanentemente elevato. In effetti la borsa, dopo la grande corsa iniziata dopo la fine della depressione del 1920-21, aveva toccato il 3 settembre 1929 il massimo storico e si era poi stabilizzata poco sotto quel livello in una serie di sedute relativamente tranquille.In realtà
il plateau non durò nemmeno due mesi. Chi avesse seguito l'idea di Fisher avrebbe dovuto aspettare un quarto di secolo per rivedere l'indice al livello del 3 settembre. Per effetto di questa terribile esperienza, da quel momento tra investitori e analisti sopravvissero solo due categorie, quella dei
rialzisti e quella dei
ribassisti. I rarissimi teorizzatori di mercati stabili che nei decenni hanno riprovato a proporre l'idea di un plateau secolare (ricordiamo un paio di casi verso la fine del ciclo del decennio scorso) non hanno avuto più fortuna di Fisher.
Una spiegazione del fenomeno la dette negli anni Novanta
Hyman Minsky. Quando vedono crescita stabile e inflazione sotto controllo, scrisse, le borse non rimangono a loro volta stabili, ma salgono. La salita alimenta ulteriore speculazione e si inizia a comprare a leva. Tutto sembra perfetto, ma sul più bello arriva puntualmente un momento (che da allora chiamiamo il
Minsky moment) in cui la bolla non riesce più ad alimentarsi e scoppia. Scoppiando, non si limita a colpire gli investitori, ma compromette anche la stabilità del ciclo economico e provoca una recessione.
Da quando Minsky scrisse queste cose, come abbiamo visto nel 2008 e nel 2020, la stabilità di medio termine di economie e borsa è ancora più precaria perché la finanziarizzazione ha accresciuto ulteriormente la possibilità di retroazione negativa delle cadute di borsa sull'economia.
"