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Il paradosso dell'energia

Mai così abbondante eppure più cara e precaria


La transizione energetica verso le rinnovabili, una scelta su cui è stato investito un enorme capitale politico e che è da considerare irreversibile, ha portato però a uno smantellamento accelerato del nucleare e al taglio degli investimenti nel fossile (di cui abbiamo visto i primi effetti nello shale oil) che prenderà velocità nei prossimi anni grazie al coinvolgimento delle banche e della finanza. La decisione strategica è di tagliarsi i ponti del fossile alle spalle per essere sicuri di andare avanti a tutti i costi verso le rinnovabili.Questa impresa alla fine avrà successo e non provocherà, come alcuni temono, una crisi energetica generalizzata nella fase di transizione. Il percorso sarà tuttavia accidentato e il mondo sarà nel frattempo vulnerabile. Un inverno freddo o qualche settimana senza vento o senza sole porteranno a interruzioni di servizio e razionamenti. Per limitarli ci si dovrà dotare di grandi riserve di gas naturale, aumentando la domanda di una materia prima su cui dall'altra parte si vogliono tagliare gli investimenti.

Ci sarà anche una vulnerabilità geopolitica. Se i paesi occidentali taglieranno drasticamente investimenti e produzione di fossili in casa loro, aumenterà la forza contrattuale dei paesi, in molti casi instabili o ostili, che continueranno a produrre. Ci sarà una certa vulnerabilità geopolitica anche nelle rinnovabili se si installeranno grandi impianti, come ha in mente l'Europa, nel Sahara e nel Sahel.

Un secondo fronte da tenere d'occhio, nei prossimi anni, sarà quello del lavoro. Anche qui, come per l'energia, c'è sulla carta un'offerta abbondante che però stenta a combinarsi con una domanda che pure è piuttosto aggressiva. C'è chi comincia ad avanzare la tesi che i lockdown da una parte e la crescente spinta a creare un reddito universale a spese dei governi dall'altra stiano facendo riconsiderare in alcune persone la centralità del lavoro. Le aziende, dal canto loro, constatano che proporre retribuzioni più alte per trovare manodopera dà meno risultati di una volta. A questo va aggiunta la demografia che, con la contrazione della forza lavoro già evidente in alcuni paesi asiatici (tra cui la Cina), ne aumenterà il potere contrattuale.

Il terzo fronte di stress sul lato dell'offerta, la crisi della filiera produttiva unica globale, è l'unico con cui i mercati hanno già una certa familiarità. Il processo era già stato avviato da Trump e Biden non lo ha in nessun modo interrotto. La separazione delle filiere tra America, Europa e Asia non coinvolgerà solo la tecnologia, come stiamo vedendo nei semiconduttori, ma riguarderà anche l'industria di base come sarà evidente quando l'Europa introdurrà la tassa sui prodotti dei paesi energeticamente non corretti provenienti dall'Asia.
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